Regole base di stile – The Elements of Style

Fonte: The Elements of Style
Autore: William Strunk Jr., E. B. White
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Disclaimer: segue un riassunto delle regole così come da edizione inglese del libro; vale la pena verificare la corretta regola anche in italiano.

Regole elementari

  • Le frasi parentetiche dovrebbero avere la virgola a meno che non costituiscono un’interruzione del flusso della frase. In ogni caso o le hanno entrambe, o nessuna. Lasciarne una è indifendibile (mio fratello ti farà piacere saperlo, sta benissimo). Le virgole non vanno messe quando la frase restringe le clausole (il candidato che meglio rispetterà i requisiti sarà assunto). Se sono precedute da congiunzioni, la virgola va messa prima della congiunzione (ci ha visti arrivare, e non sapendo che l’avevamo smascherato, ci ha accolti con un sorriso)
  • Va messa una virgola prima della congiunzione che introduce una clausola indipendente (gli archivi della città sono andati distrutti, e la sua storia iniziale non può più essere ricostruita)
  • Due frasi complete non connesse da una congiunzione devono usare il punto è virgola e non la virgola (i romanzi di Stevenson sono divertenti; sono pieni di eccitanti avventure) ed è meglio che mettere “quindi”, che comunque richiederebbe punto e virgola
  • Non sostituire virgole con punti (l’ho incontrata anni fa. In un viaggio da loro Brooklyn a Boston)
  • Le frasi participiali all’inizio della frase si riferiscono al soggetto (arrivando a Chicago, i suoi amici lo incontrarono in stazione > “arrivando” si riferisce al soggetto, gli amici. Violare questa regola crea frasi ridicole: essendo in pessime condizioni, comprai la casa a poco prezzo)

Principi elementari di composizione

  • Un paragrafo per argomento. Una volta scritto un paragrafo, vedere se questa regola può aiutare a dividerlo per facilitare il lettore
  • Usare voci attive anziché passive (“mi ricorderò per sempre di quel giorno” è meglio di “quel giorno sarà per sempre ricordato da me”). A meno che quello non sia il soggetto del paragrafo. Evita una frase passiva che dipende da un’altra passiva
  • Fai asserzioni definite e usa “non” per negare/antitesi, non per evadere in un linguaggio vago (non pensava che lo studio del latino fosse molto utile > pensava che lo studio del latino fosse inutile; Bianca non resta impressa come un personaggio importante > Bianca è insignificante). Il lettore non è soddisfatto dal sapere cosa “non è”, vuole sapere cosa è, o si finisce per tirare a indovinare cosa lo scrittore volesse dire
  • Evitare parole inutili, ogni parola deve dire qualcosa (la sua è una storia strana > la sua storia è strana). “Il fatto che”, ad esempio, va sempre eliminato
  • Evitare una serie di frasi povere, tipo clausole coordinate (frase uno, e frase due. Frase tre, e/mentre/quando frase quattro)
  • Idee coordinate dovrebbero usare una forma simile, e non essere variate per paura di fare una ripetizione (prima la scienza era insegnata con i libri, mentre ora è impiegato il metodo sperimentale > prima la scienza era insegnata con, i libri, ora è insegnata col metodo sperimentale). Questo si applica anche a espressioni come sia – che, non – ma, non solo – ma anche, o – o (era sia una cerimonia lunga che molto noiosa > la cerimonia era sia lunga che noiosa)
  • Tenere insieme parole connesse. La posizione nella frase è uno dei mezzi principali per indicare una relazione, ad esempio soggetto e verbo dovrebbero essere vicini (Shakespeare, in Romeo e Giulietta, immagina la storia > in Romeo e Giulietta, Shakespeare immagina la storia); il pronome dovrebbe essere dopo la parola cui si riferisce (c’era qualcosa nei suoi occhi che sembrava pericoloso > nei suoi occhi c’era qualcosa che sembrava pericoloso)
  • I riassunti dovrebbero essere al presente (al massimo il passato se si riassume una storia)
  • La parola (frase, paragrafo) su cui si punta l’enfasi è in genere alla fine. Anche la prima parola acquista importanza se non è il soggetto.

Forma

  • Lasciare una riga bianca dopo il titolo del manoscritto
  • Date e numeri seriali vanno lasciati numerici (9 agosto, 352 fanteria)
  • Le frasi attorno alla parentesi richiedono punteggiatura come se la parentesi non esistesse, e così quelle interne – a parte il punto finale, da omettere
  • Le citazioni sono tra virgolette dopo i due punti (o la virgola se sono l’oggetto di un predicato), centrate e senza virgolette se sono intere frasi. Se introdotte da “che”, non vanno virgolettate (Keats disse che la bellezza è verità). I titoli sono in genere in corsivo, senza virgolette, con tutte le prime lettere maiuscole e con l’articolo non corsivo se richiesto dalla frase

Parole ed espressioni spesso usate a sproposito
(La maggior parte sono riferite alla lingua inglese)

  • Meglio omettere “casi” (in molti casi, le stanze erano fredde > molte stanze erano fredde)
  • “Certamente” come rafforzativo di una frase è abusato
  • “Di carattere”, “di natura” sono in genere ridondanti per la regola di usare solo parole necessarie (atti di carattere ostile > atti ostili)
  • “Comparare a” indica similitudine, “comparare con” indica differenze
  • “Fattore” va in genere sostituto con qualcosa di più diretto (la sua superiorità è stato un fattore della sua vittoria > ha vinto grazie alla sua superiorità)
  • “È un … che…” va in genere evitato (è un uomo che ho sempre ammirato, la Spagna è un paese che ho sempre voluto visitare > l’ho sempre ammirato, ho sempre voluto visitare la Spagna)
  • “Letteralmente” va usato solo se si intende davvero in senso letterale, non per rafforzare un’esagerazione
  • Parlare della “natura” è troppo vago e si dovrebbe chiarire: un bosco? vita di campagna? Il tramonto? Le abitudini degli scoiattoli?
  • Rispettivi / rispettivamente in genere si possono eliminare (i libri sono elencati sotto il nome dei loro rispettivi autori > dei loro autori)
  • “Molto” va usato con cura, meglio usare parole più forti senza bisogno di un rafforzativo
  • “Mentre” non va usato quando si può usare “e” o “ma”, o un punto e virgola (l’ufficio e al piano di sopra mentre la cucina è al piano terra > l’ufficio e al piano di sopra; la cucina è al piano terra). Per andare sul sicuro, meglio usarlo solo nel suo senso letterale di “allo stesso tempo di”

Worlds of Wonder

Fonte: Worlds of Wonder
Autore: David Gerrold
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • Il miglior maestro che David Gerrold abbia avuto è un incompetente di docente che gli aveva detto che non sarebbe mai diventato uno scrittore. La rabbia gli è servita – ma non basta. Il secondo miglior maestro è stato quello che gli diceva che la scrittura creativa può essere riassunta in tre parole: “Struttura! Struttura! Struttura!”. Da allora lo Storytelling non è stato un mistero, ma un’avventura. Quali altri segreti cela? Solo dopo aver imparato la tecnica si può vedere il processo oltre la tecnica. Questo processo si può scoprire con alcune domande: come porto altrove il lettore, e lo rendo contento di esserci stato? Come creo un’esperienza così vivida che mentre esiste nella mente, oscura la vita reale? Come posso calarmi così tanto nella storia da raccontarla dall’interno? Lo storytelling è naturale. L’ascoltatore vuole sentire la scoperta dentro la storia.
  • La definizione di storia è: qualcuno ha un problema, lo esplora finché non lo capisce, fa una scelta (difficile) che cambia la percezione e risolve il problema. Insomma, problem solving e lessons learned. Lo storytelling è come la mente concettualizza le esperienze. La mente riconduce tutto a cose da scoprire, capire e padroneggiare: i problemi. Vediamo tutto come obblighi/sfide/crisi che richiedono risoluzione. È la natura umana, e così è condividere l’esperienza. Le tre domande chiave quindi sono: cosa sta succedendo (trama/problema), a chi (personaggio/persona), perché dovrebbe importarci (cuore emotivo della storia – la parte più importante). A quel punto serve solo una comunicazione efficace, e cioè saper evocare l’esperienza. Bisogna dare gli elementi essenziali all’emozione. Ecco perché la rabbia funzionava: tutti l’hanno provata, tutti si possono connettere alla propria, e molte delle storie più efficaci hanno una forte componente di rabbia. Ma dobbiamo andare oltre i limiti. E una cosa che può spingere e ciò che succede quando si va oltre l’entusiasmo. Una passione, uno scopo, un’ossessione ispirata. La promessa di David Gerrold è che un giorno si arriverà a accendere questo entusiasmo in maniera strabiliante. Scrivi onestamente, dal cuore, e ci arriverai.
  • La letteratura dell’immaginazione è caratterizzata dall’evocare il senso di meraviglia. Fai una lista di film e libri fantasy/fantascienza preferiti. Alcuni avranno espanso i limiti della tua immaginazione. Quello è il sense of wonder. Riconoscere che si è appena visto qualcosa di nuovo nell’universo. Per lo scrittore di speculative fiction è necessario creare questa sensazione. Fare storytelling efficace significa sorprendere il pubblico – il resto sono dettagli. Devi cercare sorprese nel mondo, e condividerle. Devi far trasalire (startle) il lettore, e puoi farlo o con lo shock del riconoscimento, o con lo shock di ciò che è alieno, o entrambi. Se non sorprendi il lettore, si chiederà perché ha perso tempo. Ci devono essere sorprese continue.
  • In caso si scriva fantascienza, la scienza è alla base del “what if”. La scienza non è un posto dove si trovano risposte: è il dominio delle domande, dove teorie scorrette vengono gettate via e le nuove sono accettate solo se spiegano meglio la realtà, e come un passo verso una teoria ancora migliore. La chiave della scienza è il metodo scientifico per formulare la teoria. Si basa sulla conoscenza, una prova misurabile che può essere condivisa in modo che ognuno possa provarla per conto proprio. Si osserva un fenomeno, si forma una teoria, la si mette alla prova. L’unica variabile è quella che si sta testando, il resto è fisso. La teoria è una mappa del fenomeno, non il territorio, e potrà sempre essere migliorata. La fantascienza spesso tocca parti dell’universo non ancora mappate dalla scienza. Il sense of wonder arriva dal riconoscimento, ma deve anche essere credibile. Non bisogna contraddire ciò che è già noto. Il lettore deve sentire le emozioni: considera che l’identità è formata in larga parte dal contesto (tempo e luogo). Lo stesso deve essere per l’autore, che subisce una metamorfosi per il mondo che inventa – in questo modo può scrivere la storia dall’interno. Sembrerà che tu ci sia stato.
  • Col fantasy, il what if è impossibile. Ma i lettori vogliono credere al tuo mondo, e questo viene da un sistema consistente di logica. La mente umana cerca connessioni, insiste a cercare una struttura. E se non lo trova si aggrappa alla prima cosa che ha senso. Il fantasy non è abbandono della logica, ma è un reinventarla. È ancora una mappa, ma il territorio non è il nostro. Da bambini pensiamo: se credo a qualcosa con abbastanza intensità, sarà vero. Tutto è animato o controllato da qualcosa di animato (sempre perché cerchiamo un senso in tutto). La mente diventa conscia di sé e crede che tutto sia mente. La mente cerca di capire come funziona l’universo e inventa logiche che lo spieghino (è il motivo per cui leggete questo articolo). Il fantasy risponde a questo bisogno (nella vita, se un sistema in cui credi ti permette di produrre risultati allora funziona; se ti proibisce di farlo, cambialo. Se credi in quel particolare sistema allora per te è vero, altrimenti è superstizione). Potete creare le regole che volete, ma poi le dovete rispettare. Gli dèi non barano. Il lettore sospenderà l’incredulità, mai il buon senso.
  • Fate un esercizio: scrivete che cosa è per voi una storia, in modo conciso per spiegare cosa fa uno storyteller. Non esistono risposte giuste/sbagliate. Fatelo ora e non leggete oltre prima di averlo fatto. Fatto? Bene: la risposta dovrebbe dirvi che cosa cercate voi da una storia. Vi aiuta a settare un obiettivo, o come saprete se l’avete raggiunto? E come saprete perché lo mancate? (Per me: il racconto di un conflitto che intrattiene)
  • Una storia riguarda un problema. Il protagonista è la dimostrazione del problema. Il protagonista è progettato per quel problema. Ma volete far sì che sembri reale, e nella vita reale la gente “sceglie” i problemi: li sceglie quando evita di affrontare la situazione. Se non ti prendi la responsabilità di risolvere una situazione, crei un problema, e in genere affrontarlo crea molte meno noie dell’ansia che porta l’avere il problema. Il problema vero non è la situazione, è la resistenza della mente ad affrontarlo. Ciò che affronti viene affrontato, il resto diventa un problema. E più a lungo lo fai, più il problema peggiora. Lo storytelling si occupa di creare problemi interessanti, di analizzare perché sono problemi, perché l’eroe li ha resi problemi, e poi come li risolve. Il tutto dando dettagli (di come resiste, di come lo scopre e ci interagisce, di come lo risolve). Ciò che rende una situazione interessante sono le complicazioni, il problema sembra irrisolvibile.
  • I problemi sono crisi (quando il problema non viene scelto) o sfide (quando vengono scelti). Entrambi sono eccitanti e richiedono di far “crescere dei denti grandi abbastanza per masticare il problema”. La crisi però ha una deadline. Spesso la risoluzione è una paurosa dimostrazione di rabbia contro le circostanze, e/o c’è vendetta. Nelle sfide la tensione è minore ma c’è una più profonda relazione con l’eroe visto che ha scelto di percorrerla. La sfida mostra la passione del personaggio. Spesso le migliori storie combinano entrambe – magari una sfida diventa una crisi. Poiché mettono il protagonista alla prova da ogni lato, eccitano molto il lettore. Rivelano chi il personaggio sia veramente. Ogni situazione che presentiamo dovrebbe mostrare qualcosa della natura del mondo e dell’eroe. Ciò che dici che stai facendo è chi credi di essere, ma ciò che fai è ciò che sei. Chiedi all’eroe: chi sei? E chi vorresti essere?
  • A chi fa più male? Quello è il soggetto della storia. L’eroe. L’inizio della storia spiega chi sia. Il corpo spiega il perché, mostra tutto quello che i lettori devono sapere sul problema e perché esso appartenga a quella persona. La fine riguarda il come – come risolve il problema. Se “chi” e “perché” sono stati affrontati, il come è automatico (il trucco è renderlo anche sorprendente). Ad esempio gli alieni attaccano la terra – chi ne soffre più di tutti? David Gerrold ha scelto un ragazzo all’università, con aspettative di vita normali; buona parte della famiglia muore, le sue certezze crollano e lui è preso nell’esercito. È perso, frustrato, arrabbiato, ingarbugliato. Serve un eroe che sperimenti il più vasto panorama di eventi. Quindi non la persona più importante, ma quella che sperimenta la scala più vasta del problema. Le persone che incontrerà staranno dramatizzando un aspetto diverso di una condizione umana. Dramma significa confronto: più situazioni e persone incontra, più sono le opportunità di confronto e di mostrare come reagisce. Perché questa scena è importante? Dov’è il dolore? Perché fa male? E (più importante) cosa lo renderà peggio? Metti l’eroe su un albero e buttagli contro di tutto. Il nome del gioco è: Fai male all’eroe! Quando lo fai, mostri il suo nucleo emotivo. Se gli succedono 10 cose contemporaneamente, quale affronta prima rivela le sue priorità. Deve far male in modo che capiamo chi sia l’eroe.
  • Se vi bloccate, fate l’esercizio di rispondere a tutte le domande che vi vengono in mente sull’eroe (nome, età, genitori, dove è nato… Cosa lo rende felice, triste, cosa vuole, di cosa ha bisogno, cosa deve imparare più di qualsiasi altra cosa, cosa ha bisogno di dire e a chi, qual è il problema emozionale che deve affrontare…), poi scrivete una conversazione tra voi e lui in un’intervista che iniziate ringraziandolo (siete dio nel vostro mondo, siate magnanimi) e poi procedete con tutte le domande che volete. Andate avanti finché non c’e più niente di chiedere. Permettetegli di farvene anche lui. Ringraziatelo e salutate.
  • Dovrete dare al lettore un senso di dove sia e cosa stia accadendo, il più in fretta possibile. Ma è meglio se gli autori alle prime armi iniziano in primo luogo con la storia, e mostrano lo stage poi, quando serve. Più mostri, meno devi spiegare. Nella prima mezz’ora di Star Wars non siamo sicuri di dove siamo o cosa stia succedendo. La prima spiegazione la fa Obi-Wan a Luke, sulla Forza. Disponi la scena subito, e continua a farlo. Il modo migliore è mostrando come funzionano le cose (c’è un esempio che mostra degli astronauti su un asteroide, che dicono di sbrigarsi prima che faccia ancora buio, e il sole è appena sorto e sta visibilmente muovendosi – capiamo il setting)
  • Creare un mondo (e quindi dare questa esperienza ai lettori) non vuol dire solo mostrare che sulla luna la gravità è più bassa, ma vuol dire spingersi oltre. Cosa si vede se si guarda fuori dalla finestra? La luna è brulla ed è un avamposto solitario? O una cupola con vegetazione? Ogni cosa che mostrerai della cupola dirà qualcosa della civiltà che l’ha costruita. Quindi devi iniziare a farti un sacco di domande (da dove arrivano acqua e aria, di certo non dalla terra, se fai i calcoli vedrai quanta ne serve, forse usano elettrolisi sul ghiaccio ai poli? Ma ci saranno stazioni che lo fanno, e trasporti di aria e acqua. Quanto costa trasportarle? E il carburante qual è? Forse usano un treno? Ma chi ha messo giù chilometri di binari in tuta da astronauta? Quando hai le risposte, un personaggio può fare un viaggio, vedere alcune di queste cose, e puoi addirittura spiegare da dove arriva il pollo nel panino. Insomma, se guardando fuori vede un prato, vuol dire che c’è un sacco di tecnologia. E la tecnologia non esiste indipendentemente dal resto – per una televisione serve un’industria televisiva. Per un treno serve una motivazione abbastanza forte da spendere soldi per creare linea). Poi fornisci i dettagli: il lettore vuole insight.
  • Creare alieni (nel senso di diversi, non di extraterrestri, quindi si applica anche al fantasy per altre razze/creature): se esiste un equivalente terrestre di quel comportamento, è credibile (e esistono le cose più strampalate sulla terra, tipo neonati che mangiano i genitori)
  • Credibilità: una buona storia di fantascienza può contenere un “bologium” (cosa assurda) e cavarsela. Due e dovete essere bravi. Tre sono la massa critica che solo i grandi maestri possono gestire. Se volete che il lettore creda a qualcosa di impossibile dovete connetterlo a qualcosa di noto. Si veda Jurassic Park: la discussione su come il DNA può essere estratto da zanzare sigillate nell’amabra è abbastanza convincente da tenere vivo il nostro desiderio di crederci. Se la balla è grande, bisogna sedurre il lettore, e lo si fa ancorandosi all’esperienza del lettore. Se vuoi dare credibilità a qualcosa di oltraggioso, lo circondi di altre cose che suonino credibili. La tua storia è una colossale bugia, il trucco è circondarla di così tanta verità da renderla credibile.
  • Complicazioni: un problema non è mai grande come sembra. In genere è più grande. Scopri tutti i dettagli della situazione che crea il problema. Ogni parte è collegata alle altre e l’eroe acquisirà un sacco di conoscenza per gli step successivi. Ma se non c’è logica, è solo un’accozzaglia di elementi. Per far sì che la storia sorprenda e delizi il lettore, le varie parti devono rivelare il grande schema che spiega tutto. Come un puzzle: più pezzi metti, più capisci dove si stia andando. Alla fine ti manca solo un pezzo per capire tutto. E non vedi più i singoli pezzi, ma un tutt’uno. Ogni sfida insegna una lezione e dà qualcosa che, combinato alla fine, darà la soluzione, unito alla conoscenza acquisita. E poi l’artefatto viene distrutto per dimostrare che era una esperienza unica. Anche l’eroe è messo alla prova, e a volte pezzi fondamentali di conoscenza gli arrivano perché si trova in una crisi che nessun altro ha affrontato. La scoperta della natura del problema deve mettere alla prova il suo io.
  • Struttura, struttura, struttura! La scrittura è fare liste: il trucco è sapere cosa mettere dopo. I romanzi in genere hanno due linee narrative e mezza (la principale, qualcosa che la complica, una mezza linea che complica la complicazione). Scrivi le scene di queste 3 linee narrative. Metti le 3 in ordine, poi inizia a farle intersecare. Vedrai che ti servono scene con cui riempire buchi, presagi ecc. Vedrai che tutte sono collegate e hanno bisogno di aggiustamenti. Si consiglia di non farlo al computer, ma ogni scena su una carta, perché permette di trattare le scene come unità – una storia è un insieme di unità motivazionali, ognuna serve a uno scopo e manda avanti la storia: ogni scena deve rendere inevitabile la successiva! Se non sposta i personaggi più vicino alla soluzione del problema, tagliala (pag 109, vedi step tipici di una storia)
  • Trasformazione: è il motivo per cui racconti la storia. La storia è il racconto del perché una persona che all’inizio era X diventa Y. Succede quando ogni altra alternativa è stata esplorata. L’io è esausto – e poi si sorprende reinventandosi. La trasformazione è una dote naturale miracolosa. All’inizio l’eroe dice: non posso farcela. E il problema peggiora. L’eroe diventa la fonte del problema. Finché non lo riconosce non può diventare la fonte della soluzione. Distruggendo la resistenza e trasformandola in responsabilità. La trasformazione inizia quando l’eroe riconosce di essere il problema, in genere dopo averle prese – a quel punto viene risvegliato alla possibilità che ci sia un altro modo di risolvere il problema (Luke, usa la Forza). Alla storia serve il momento che faccia scattare il tutto, in modo che il lettore capisca e possa partecipare. Nel fantasy/fantascienza, la trasformazione è spesso esteriore: l’eroe guadagna poteri. A quel punto il problema si può gestire e in 10 minuti la storia è finita.
  • Tema: vi renderete conto che nei vostri autori preferiti traspare un tema: un senso del mindset e della visione del mondo dell’autore. Perché scrivete? Che effetto cercate nei lettori?
  • Stile: come raggiungo gli effetti creati dai maestri? Esplorarlo vi dà la possibilità di vedere attraverso i loro occhi. Lo stile determina l’effetto che si crea
  • Prime righe: la riga più importante è l’ultima, ma il lettore non ci arriverà mai senza una prima riga che li spinga a continuare. Un buon inizio dispone il palcoscenico o aggancia al personaggio (e poi dispone il palco). Dovrebbe essere abbastanza sorprendente da stuzzicarci a leggere la riga successiva. Deve avere un po’ di mistero in modo che il lettore voglia capire. Cosa è già successo? Chi è coinvolto? Implica un contesto più ampio che deve essere esplorato. Puoi scrivere come esercizio una dozzina di prime righe, anche senza avere una storia. Vedrai che le migliori richiedono una prima pagina, e una buona prima pagina richiede un primo capitolo. È divertente perché permette di creare per il solo scopo di creare.
  • Ultime righe: lasciali senza fiato! Deve lasciare il lettore soddisfatto che tutto quello che c’era da dire sia stato detto, ma anche fare da rampa di lancio per l’immaginazione del lettore rispetto a quello che succederà poi. Dovrebbe implicare che la storia prosegue, lasciarci a speculare su cosa accadrà, specialmente se l’eroe aspetta qualcosa. Le punch line danno una chiusura chiara e drammatica al dialogo, e l’ultima parola (la punch word) è alla fine. Nelle barzellette si mostra il problema, poi se ne dimostra la natura creando suspense, poi si conclude con una risoluzione d’impatto (lasciando senza fiato per sdegno, shock, orrore, sorpresa o delizia). Lo stesso per le storie. Non è solo la trasformazione dell’eroe, ma anche del lettore.
  • Scrivete dall’interno: uno storyteller deve scrivere come se si trovasse nella storia. Non spieghereste passo passo come funziona una normale porta (“afferri il pomolo, lo premi, il meccanismo si comporta così, i cardini fanno questo ecc”), direste solo che la aprite. Questo perché siete in un mondo in cui le porte che funzionano con pomolo e cardini sono la normalità. Lo stesso se la porta è in un mondo fantascientifico ed è normale per il personaggio che si comportino così (“la porta si dilatò”). Non dovete descrivere, dovete evocare. Il lettore deve esperire la storia. Ci siete stati e siete tornati per raccontare. Inoltre meno dettagli date più la descrizione sarà future-proof. Non serve spiegare come è fatta una macchina per truccarsi il volto. E solo dicendo che tale macchina esiste, state dando informazioni sul mondo (che devono mantenere consistenza tra loro): in quel mondo gli uomini si truccano, quindi l’immagine esteriore è culturalmente importante. Non dovete presentare tutte le informazioni, solo abbastanza perché il lettore possa capire che succede e perché risveglino la sua immaginazione mantenendo un piede nella realtà. Se è familiare per il personaggio non dovete esprimere meraviglia e sorpresa anche se una vostra invenzione è meravigliosa per il lettore. La vera meraviglia è che il personaggio la dia per scontata. E per prendere in prestito credibilità, queste meraviglie sono collegate a qualcosa di cui il lettore può avere esperienza. “Stavo andando alla stazione Tosche a prendere alcuni convertitori di potenza” – “Andrai a perdere tempo con i tuoi amici quando hai finito le tue faccende” e tutti riconoscono il non poter uscire con gli amici finché non si sono finite le faccende di casa. Senza spiegare altro di Tosche o dei convertitori di potenza: sono normali per Luke e per lo zio. Il sense of wonder arriva dalla collisione tra reale e immaginario (meraviglia+credibilità). Càlati nel mondo, usa tutti i sensi, e descrivi ciò che stai vivendo. Tu sei lì, sei il personaggio. Evoca l’esperienza nel lettore.
  • Scene di sesso: sono imbarazzanti da scrivere e da leggere. Forse perché il lettore pensa che se l’hai scritto, ti interessava, e quindi riveli cosa pensi del sesso. Tu sei la persona che si è seduta alla scrivania e l’ha immaginata. Una buona scena di sesso non riguarda il sesso, ma la passione.
  • Scene d’amore: riguardano la relazione tra i personaggi (si intende ogni amore, incluso genitore-figlio, tra amici ecc). Non stiamo a pensare a cosa serve per mantenere una relazione d’amore. In una scena d’amore gli elementi base dell’amore sono dimostrati: affetto, fiducia, rispetto, onestà, scherzosità e dedizione.
  • Frasi: se lette ad alta voce non funzionano, cambiale. Se una frase non ti viene, fermati a visualizzare la scena. In genere è meglio tenerle brevi.
  • Aggettivi e avverbi: sono come il trucco, un po’ ti migliora, troppo sembri un pagliaccio. Visualizza la scena, e poi descrivi come ti senti.
  • Paragrafi: ogni paragrafo descrive un momento. Quando il momento è finito, finisce il paragrafo. Deve quindi evocare il momento e spingere il lettore nel successivo. Deve evocare azione, emozione e sensazioni fisiche (tutti i sensi). Non parla solo di cosa accade ma anche di come ci si sente. Risponde a: di cosa parla questo momento? Che immagine visiva voglio creare? Cosa riportano gli altri sensi? Quali emozioni?
  • Evocare: pensa a tutte le parole che possono descrivere la cosa che vuoi evocare, e vedi quali funziona mettere, senza strafare. Ogni paragrafo dovrebbe descrivere il setting e far progredire l’azione
  • Meme: il maestro genera lezioni per sé da ciò che crea. Il maestro sa fare distinzioni tra cose che lo studente ancora non sa distinguere, e le mostra agli altri. Con il linguaggio si può trasformare la visione del mondo della persone. Se non hai le conoscenze per esprimere un concetto, non lo realizzi – ecco perché in 1984 il governo distruggeva le parole che si potevano usare per creare una rivoluzione. Se creassimo parole creeremmo concetti espandendo la visione del mondo – così, ridefinendo una parola cambiamo la visione del mondo (o ne dimostriamo il non senso, come Kasdan ha fatto con la parola “provare”, cambiandone la visione. “Fare o non fare, non c’è provare”)
  • Per trovare nuovi modi di costruire frasi e uscire dalla comfort zone, potete provare la metric prose, o e-prime (non usare il verbo essere). Se una parola vi sembra vaga prendete il dizionario e cercate il termine preciso. Come il maestro, dovete sapere fare più distinzioni. Cercate un altro modo di esprimere i vostri pensieri, e diventerete maestri delle possibilità, oltre a riflettere più accuratamente su ciò che volevate esprimere. Ma occhio: se vi focalizzate sul linguaggio anziché sul messaggio state sbagliando. Dovete essere chiari e precisi, non costruire belle frasi.
  • Dialoghi: dovete creare l’illusione di una conversazione, per presentare un’interazione necessaria, nel minor numero possibile di righe. Creare il sapore di una discussione più lunga, ma tagliando il più possibile, editando per avere un effetto drammatico. Il dialogo deve essere inframezzato da azioni descrittive (alcuni degli eventi fisici che succedono mentre parlano). Nei dialoghi si sta recitando per davvero, e spesso è dove avviene la trasformazione.
  • Disciplina: scrivete almeno 1000 parole al giorno. Non si impara a nuotare leggendo libri, e lo stesso sulla scrittura: dovete scrivere per imparare. E se volete diventare grandi scrittori (o grandi in qualsiasi cosa) dovete fare pratica tutti i giorni. E il processo vi deve piacere, o non state facendo la cosa giusta per voi. A quel punto vedrete che la disciplina merita il successo.
  • Il primo milione di parole sono esercizio. Non contano. Farete pratica a farle leggere. A ricevere brutti commenti. Non preoccupatevi, non contano. Se trovate un editore così disperato da fare l’errore di pubblicarvi, non pensate che voglia dire qualcosa. Se non avete scritto un milione di parole (circa 10 romanzi) state ancora facendo pratica. E se anche vincete un premio, è ancora pratica: alzatevi, prendertelo, ringraziate e tornate a sedervi – ogni altra cosa sarebbe imbarazzante. Solo dopo il primo milione di parole potete prendervi sul serio.
  • Siate specifici. Dovete sapere cosa state cercando di dire
  • Perché scrivere? Perché nessun altro scriverà le avventure che vorreste avere. Ma una storia è un atto comunicativo, non è solo per voi. Se nessuno legge, la comunicazione non succede. E se succede – cosa volete che succeda? Siamo animali comunicativi. Quasi tutto intorno a noi è comunicazione. Spesso i problemi derivano da scarsa comunicazione. Per il fatto che esistete, fate la differenza. Che tipo di differenza volete fare? Ciò che scrivete avrà effetto su chi leggerà, le idee hanno una conseguenza. Cosa volete dire al resto del mondo?
  • 10 consigli conclusivi (“un buon consiglio vale esattamente quanto l’avete pagato”):
    1. Siete ciò che fingete di essere. Fingete in grande
    2. Siate il vostro più grande fan
    3. Siate il vostro critico più feroce
    4. L’impazienza è fatale. Apprezzate ogni momento della vostra storia. Se non appassiona voi, non appassionerà nessun altro
    5. Non potete scrivere di ciò che non conoscete. Se non conoscete, andate a imparare
    6. Show. Don’t tell
    7. Create aspettative. Poi sfidatele. Sorprendetevi
    8. Scrivete la vostra storia
    9. Siate appassionati
    10. Puntate alle stelle

Vaporteppa e la narrativa fantastica

FonteVaporteppa.it
Autore: Marco Carrara
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • La fantasia va coltivata. Leggere libri di ogni genere, guardare film fantastici di ogni nazionalità, leggere fumetti, giocare ai videogiochi per scoprire nuove esperienze narrative, imparare skill nella vita reale e approfondire gli argomenti più disparati – in generale, affrontare con mente aperta qualsiasi possibile fonte di stimoli e idee incontrata. Questi elementi sono i “mattoncini Lego” che si possono combinare per creare qualcosa di nuovo – è originale il modo in cui si combinano elementi già noti, il singolo elemento non è mai originale. Qualsiasi idea “originale” se scomposta in singoli elementi si riduce a cose già esistenti; non bisogna quindi temere di scoprire e usare elementi trovati in altri contesti, a patto che si ricombinino in qualcosa di originale. Si definisce originale chi prima arriva a combinare elementi noti in modo ancora non fatto.
  • La narrativa fantastica (o speculative fiction) utilizza il concetto del “what if?” e quindi dovrebbe avere natura speculativa, originale. Nella Fantascienza l’ipotesi è possibile, per quanto improbabile. Nel Fantasy si ipotizza che qualcosa di impossibile sia vero e si indagano le conseguenze. Questo prescinde dal periodo storico in cui è ambientato il fantasy – fantasy e medioevo è un binomio fossilizzatosi solo negli ultimi decenni. La verosimiglianza è particolarmente importante nella letteratura fantastica: il lettore continua a sospendere l’incredulità solo se tutti gli elementi non fantastici risultano credibili.
  • Ogni capitolo di un libro dovrebbe avere un obiettivo, e un conflitto in cui il protagonista cerca di raggiungere l’obiettivo. Alla fine l’obiettivo viene ottenuto ma si verifica qualcosa di inaspettato (e spiacevole, ad esempio la vittoria si ritorce contro il protagonista), oppure l’obiettivo non viene ottenuto e magari si aggiunge anche una ripercussione negativa. Per raggiungere l’obiettivo, il protagonista deve fare delle scelte (non deve essere un personaggio passivo), e più sono forti e chiare le conseguenze, più il lettore sarà “preoccupato” quando il personaggio prenderà una decisione. Se ogni personaggio prende in buona fede scelte sensate che causeranno danni ad altri personaggi con cui il lettore simpatizza, l’effetto di suspense sarà moltiplicato, in modo simile a ciò che accade nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin. La scelta del personaggio deve essere la scelta giusta, nel senso che il lettore deve riconoscere che il personaggio ha effettivamente compiuto la mossa migliore tra quelle a sua disposizione. E questo meccaniso funziona meglio non quando la scelta è banale (salvare qualcuno) ma quando i lettori vogliono che il personaggio faccia qualcosa che in genere è considerato negativo/amorale/criminale. In quel caso si è usata la propria retorica per mostrare al lettore come, date delle circostanze particolari, l’atto più scorretto può essere in realtà la migliore scelta possibile (il buono tortura un criminale perché si sa che è un pedofilo e si vuole che dica dove ha nascosto la sua vittima). La potenza retorica della narrativa concede poi di ribaltare le carte in tavola: dopo aver guidato con soddisfazione il lettore a desiderare e accettare il male, gli si sbatte in faccia l’errore.

Gamberi fantasy – regole di scrittura

FonteGamberi Fantasy
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Nella narrativa di genere, “scrivere bene” significa adottare uno stile che sia trasparente per il lettore (al contrario della literary fiction in cui lo stile è più importante del contenuto) – questo perché vogliamo che il lettore sospenda l’incredulità e creda a ciò che legge, e se il lettore si accorge dello stile, allora si ricorda che sta leggendo un libro. L’autore vuole immergere il lettore in un altro mondo, e uno stile ricercato impedisce questo scopo.

I generi poi esistono per far sì che il rapporto tra autore e lettore sia chiaro (ad esempio la letteratura fantastica include fiaba, fantasy, fantascienza, horror soprannaturale – nel fantasy il fantastico non può essere spiegato in maniera scientifica; nella fantascienza sì; nell’horror è usato per spaventare il lettore. L’elemento fantastico deve essere un fulcro della narrazione, determinante, e non semplice sfondo. Gamberetta ha preparato uno schema dei sottogeneri della letteratura fantastica). Se il lettore vuole leggere un giallo e presentiamo il nostro libro come un giallo, ma in realtà si rivela poi un fantasy, il lettore resterà deluso.

Veniamo alle regole base che aiutano a raccontare belle storie:

Show, don’t tell: (si veda articolo dedicato) il lettore deve vedere cosa succede. “Laura uccise Mario” racconta, “Laura premette il grilletto e il proiettile portò via buona parte della scatola cranica di Mario” mostra. Raccontando, lo scrittore palesa la sua presenza allontanando il lettore dalla realtà virtuale della storia. Inoltre solo mostrando si fa presa sui ricordi e il lettore crede di essere presente alle vicende che succedono.
Se quello che vogliamo mostrare è noioso, meglio invece raccontarlo (“Laura prese un aereo e volò a New York” – è raccontato, ma è meglio che mostrare un volo in cui non succede nulla).

Scrivi di quel che sai: l’autore ha il compito di convincere il lettore che quello che legge non sono cretinate. Per riuscire in questa impresa l’autore deve calare l’elemento fantastico in un mondo verosimile e credibile. Tale mondo deve essere concreto tanto che il lettore lo possa accettare come realtà, elemento fantastico incluso (se questo particolare del mondo è così realistico e quest’altro particolare è così realistico, allora anche i draghi devono esistere). Un’accurata conoscenza degli argomenti dona alla narrazione un intreccio di particolari che fa credere che lo scrittore non stia raccontando favole, ma sia lì a filmare la storia. Questo significa che se volete parlare di cose che non conoscete (es: battaglie) dovete documentarvi – questa dovrebbe essere una questione d’orgoglio per presentare al pubblico un mondo preciso e curato dove ogni particolare è verosimile. Questo richiede parecchio impegno – il mestiere dello scrittore non è semplice.

Buttare il superfluo: lo scopo è raccontare una storia, tutto il resto non è degno di esistere. Parole, scene o personaggi che non aiutano lo svolgersi della storia devono sparire – anche se bellissimi. Per questo motivo in genere si consiglia di eliminare aggettivi e avverbi.

Scrivere in maniera semplice: il lettore deve capire cosa state scrivendo – forzare un linguaggio forbito (la “prosa raffinata”) rompe la sospensione di incredulità. La narrativa di genere vuole raccontare storie a tutti, non solo ai laureati in lettere antiche. Lo scrittore di genere è felice di essere capito sia dal professore cinquantenne che dal bambino di 10 anni, e scrivere semplice è più difficile che scrivere raffinato.

Struttura semplice: non vuol dire che la trama non debba essere complessa! Si parla di struttura. La struttura della storia deve essere semplice: ci deve essere una buonissima giustificazione per interrompere la narrazione e inserire un flashback. Strutture narrative complesse con sottotrame che si intersecano possono essere affascinanti, ma se la complessità è fine a sé stessa, il lettore è fuori dalla storia per ammirarla dall’esterno. Sottotrame, flashback e salti temporali devono esistere solo se rappresentano l’unica maniera per narrare la storia – meglio spostare indietro il punto scelto per iniziare la storia piuttosto che violare la linearità con mille flashback. Per un motivo analogo il prologo è spesso da evitarsi.

Evitare l’inforigurgito: l’inforigurgito, o infodump, è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. Sia perché l’autore si rende conto che certe informazioni sono necessarie per comprendere gli sviluppi della storia, sia – quel che è peggio – se l’autore crede che lo siano quando in realtà non lo sono. L’inforigurgito in genere si presenta in due forme: con l’intervento diretto dell’autore o con dialoghi o pensieri farlocchi.
Nel primo modo la narrazione è interrotta e l’autore sale in cattedra per insegnare al lettore – rompendo la sospensione di incredulità (es: “Laura sollevò la spada, pronta a tagliare la testa al coboldo, una razza goblinoide che si insediò duemila anni fa…”). Questo errore è spesso tipico degli scrittori che hanno passato ore a ideare un loro mondo e si convincono che l’ambientazione è bella in sé e vada mostrata. Non è così, mai, quello che conta è la storia. Il lettore in genere pensa “chissenefrega!” e se lo scrittore insiste, il lettore pianterà il libro: le informazioni in sé non sono interessanti, è come vengono integrate nella storia che le rende interessanti.
La seconda forma è il dialogo farlocco (es: “come saprai bene, i coboldi sono una razza goblinoide…”) in cui il dialogo è forzato e inverosimile, e rovina la credibilità della storia – i personaggi non spiegherebbero quelle cose in un mondo realistico.
La soluzione all’inforigurgito è mostrare: se è davvero vitale fornire quelle informazioni al lettore, si può mostrare la società cobolda in azione e il lettore ne ricaverà le informazioni necessarie. Rispetto ai dialoghi, si può usare l’inforigurgito in un dialogo solo se davvero i personaggi parlerebbero di quelle informazioni, ad esempio perché uno dei personaggi non ne è a conoscenza (evitando in questo modo il “come ben sai”).

I dialoghi: sono fondamentali per caratterizzare i personaggi (pensate alle persone che conoscete solo su internet: avete un’idea ben precisa di loro, eppure li conoscete solo tramite i loro dialoghi). Una trattazione completa di come scrivere un buon dialogo è stata affrontata in un altro capitolo, ma gli errori più comuni sono i seguenti:

  • Personaggi che parlano come un libro stampato, quando il re e il contadino si esprimono nello stesso modo. Persone che per background sono rozze o scurrili dovrebbero esprimersi in modo rozzo e scurrile
  • Personaggi che parlano come nella realtà: il dialogo deve essere verosimile, non vero (nel dialogo vero ci si interrompe spesso, non si finiscono le frasi, ci si parla addosso…). Il dialogo deve essere funzionale alla storia e filtrare il superfluo, lasciando solo la parte vitale per lo svolgersi della vicenda
  • Dialogo indiretto: quando si inserisce un dialogo indiretto (Laura disse che aveva fame) si sta raccontando e quindi infrangendo la regola dello Show don’t tell (vale comunque la regola della noia – se un dialogo è noioso ma necessario si può raccontare).

Saper gestire il punto di vista: la scelta di dove piazzare la “telecamera” della narrazione deve essere compiuta in base alle reazioni che si vogliono suscitare nel lettore, quindi occorre essere consapevoli di che effetto hanno le varie scelte. La telecamera può essere sulla spalla di un personaggio, dentro la sua testa, in un punto fisso, o muovere a seconda delle circostanze. Ecco gli errori più comuni:

  • È meglio evitare il narratore onnisciente, che può riprendere la vicenda da qualunque angolo, personaggio, tempo. Questo perché spesso il narratore finisce per essere visibile e quindi il lettore non crede più di trovarsi in un mondo nuovo, ma sa che un narratore gli sta raccontando una storia. Inoltre se il narratore onnisciente fa un’affermazione, questa diventa verità assoluta e contraddirla distruggerebbe la credibilità. Il narratore onnisciente non offre in genere vantaggi rispetto agli altri tipi, ed è invece pieno di rischi
  • La prima persona va usata con cautela – è più difficile che usare la terza persona. Innanzitutto c’è un ostacolo: con un narratore in prima persona è netta la sensazione che il protagonista stia raccontando. Non è grave come avere il narratore onnisciente a fare da barriera perché il narratore onnisciente si identifica con l’autore, ma è comunque un ostacolo [si veda sezione di Chuck Palahniuk in cui consiglia di far capire che la narrazione è in prima persona solo quando il lettore è già agganciato]. Per narrare in prima persona ci dovrebbe essere una ragione, non a caso i romanzi in prima persona hanno spesso una cornice che introduce la narrazione. L’altro problema riguarda lo stile: ogni parola, descrizione, scelta di ciò che si racconta è una caratterizzazione del personaggio narrante a cui va fatta attenzione. Questo può andare in conflitto col concetto di stile trasparente: la scelta dei termini non può più essere neutra e piegata solo a necessità di efficienza, ma deve tener conto dell’effetto che il narratore avrà sul lettore per il fatto di esprimersi in quel modo. Ad esempio nessuno ha niente da obiettare se un narratore in terza persona indugia a descrivere un cadavere, ma se a farlo è un narratore in prima persona, si avranno una serie di considerazioni sul personaggio. In genere bisogna avere esperienza e talento per saper maneggiare un narratore in prima persona
  • Cambiare punto di vista è traumatico perché richiede al lettore uno sforzo mentale per adeguarsi. Dunque a meno di ottime ragioni bisognerebbe evitare di cambiare il punto di vista durante una scena

Da ciò deriva che la scelta più semplice ed efficiente è in genere quella di usare la terza persona limitata: la telecamera è posta sulla spalla di un personaggio e può inquadrare solo quello che il personaggio vede, e in compenso non è vietato “inquadrare” di tanto in tanto anche ciò che il personaggio pensa – ma solo lui, solo il personaggio con la telecamera. Non cercate di essere originali a tutti i costi: l’originalità, nella narrativa di genere, è nella storia. Altrimenti il lettore sarà più interessato alla scelta stilistica che a appassionarsi alla vicenda.

I personaggi: l’autore deve conoscere i propri personaggi. Deve saperne vita, morte e miracoli ma, soprattutto, deve conoscerne le motivazioni. Perché un personaggio agisce in una certa maniera, quali sentimenti e ideali lo muovono, ciò dev’essere cristallino per l’autore. Data una certa situazione, i lettori devono poter essere in grado di prevedere le azioni dei personaggi, grazie al fatto che l’autore ha ben caratterizzato i personaggi. In genere è più importante avere chiaro il loro modo di pensare che il loro aspetto fisico.
Un personaggio deve agire – l’inazione è l’opposto della sua caratteristica di essere un personaggio. Un personaggio deve muovere la storia, avere un ruolo attivo, o non serve alla storia – peggio ancora se passa il tempo a lamentarsi. Il principio dell’agire determina quali personaggi estrarre dall’ambientazione per renderli protagonisti. Un buon consiglio è scegliere personaggi che soffrono: sono quelli che hanno motivazioni più forti ad agire. Per lo stesso motivo in genere si evitano personaggi troppo potenti: è raro che agiscano in prima persona, e se lo fanno spesso non sono credibili. Danno ordini che altri agiscono – questi altri sono buoni candidati personaggi.
Esiste la troppa caratterizzazione: il fulcro deve sempre essere la storia, per alcune storie non serve che il personaggio sia tormentato, con una personalità complessa e sfaccettata. Se un personaggio si appassiona più a Gulliver che ai suoi viaggi è un errore, e lo stesso vale per molti romanzi di Asimov.
Anche se l’autore può ispirarsi a amici e personaggi, questo giochino non deve essere palese, o ne patirà ancora la sospensione di incredulità.

Come scrivere la scena perfetta

FonteAdvanced Fiction Writing
Autore: Randy Ingermanson
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

La perfezione di una scena si può raggiungere dal punto di vista strutturale, come dal manuale “Techniques of the Selling Writer” di Dwight Swain. La struttura di una scena ha due livelli: quello su larga scala, e quello su piccola scala.

Per capire se ci si sta muovendo nella direzione giusta, tenere presente che il lettore legge il vostro libro perché è alla ricerca di emozioni. Se state scrivendo un libro romantico, dovete far credere al lettore che si sta innamorando. Se il vostro libro è un thriller, dovete creare nel lettore l’illusione che sia in pericolo di vita. Se state scrivendo un fantasy, il lettore deve credere davvero di trovarsi in un altro mondo. Il successo per uno scrittore arriva quando riesce a evocare queste emozioni nel lettore. La perfezione arriva quando sapete evocare queste emozioni nel modo più completo possibile.

La struttura della scena su larga scala

Potete scegliere di organizzarla in due modi: secondo quella che Swain chiama “Scene” o secondo quella che chiama “Sequel”, entrembe formate da tre parti. Dovete mostrare che il personaggio punto di vista (PG POV) sta vivendo davvero una scena – così tanto che il lettore creda di viverla come se fosse il PG POV.

Scene:

  1. Obiettivo: ciò che il PG vuole all’inizio della scena. Deve essere specifico e chiaramente definibile. Questo renderà il vostro PG attivo, che è una delle chiavi prer creare personaggi interessanti – perché anche i lettori vorrebbero essere attivi nel cercare ciò che vogliono anziché aspettare che capiti. Se anche non una brava persona, volere qualcosa lo rende interessante, e i lettori si identificheranno con personaggi interessanti – che è ciò che lo scrittore vuole
  2. Conflitto: gli ostacoli che il PG trova per raggiungere l’obiettivo. La Scene deve avere un conflitto, altrimenti risulta noiosa. I lettori vogliono lottare per ottenere l’obiettivo, la vittoria non ha valore se arriva senza difficoltà
  3. Disastro: il PG fallisce nel raggiungere il suo obiettivo. Non fate raggiungere gli obiettivi ai PG, la vittoria è noiosa! Quando una Scene finisce con una vittoria, il lettore non sente l’urgenza di continuare a leggere. Fai succedere cose orribili, lasciate “appesi” i lettori

Sequel (vegono dopo le Scene – dopo un disastro non si può ripartire con una Scene che ha un obiettivo come se niente fosse successo, serve riprendersi):

  1. Reazione: la risposta emotiva al disastro. Il PG è sbilanciato, ha una reazione viscerale, ad esempio di dolore. Lascia che stia male, il lettore potrebbe star male con lui. Potreste voler lasciar passare del tempo (non è il momento di un’azione, ma di una re-azione). Ma questa situazione di lutto non deve durare per troppo tempo – nella vita reale, chi si piange troppo addosso perde gli amici, nella scrittura si perdono i lettori. A un certo punto il PG dovrà guardare le sue opzioni – e il problema è che non ne ha nessuna
  2. Dilemma: è una situazione senza valide alternative. Se il disastro era un buon disastro, non ci sono buone opzioni. Ci deve essere un vero dilemma, il lettore deve essere preoccupato. Lasciate che il PG POV scandagli le opzioni e che il lettore si chieda cosa possa succedere ancora. Il PG poi troverà il minore del mali…
  3. Decisione: il PG farà una scelta tra le varie opzioni a sua disposizione. Questo è importante perché il PG diventa di nuovo attivo e non lascia che altri decidano per lui (caratteristica dei personaggi noiosi). La decisione deve essere una che il lettore possa rispettare – deve essere una buona scelta. Fa che sia rischiosa, ma che abbia una possibilità di successo. A quel punto il lettore dovrà girare pagina perché il PG avrà un nuovo obiettivo

Il modello Scene-Sequel funziona bene perché l’una porta naturalmente all’altra. A un certo punto finirete il circolo: darete al personaggio la vittoria finale o la sconfitta finale. Ma nel frattempo questo pattern permetterà al libro di proseguire, e alla fine il lettore vi maledirà perché ha speso tutta la notte a scoprire cosa sarebbe successo.

Questa però è solo la struttura su larga scala: dovete ancora scrivere fisicamente le scene, un paragrafo avvincente dopo l’altro.

La struttura della scena su piccola scala

Nella piccola scala, le scene vanno scritte secondo quella che Swain definisce “Unità Motivazione-Reazione” (MRU). Scrivere MRU è complicato ma un buon esercizio è quello di riscrivere interi capitoli finché non sono formati esclusivamente da MRU. È difficile, ma dà risultati.

Saper scrivere MRU è la chiave per scrivere libri avvincenti.

Gli MRU si scrivono alternando ciò che il PG vede (Motivazione)  e ciò che fa (Reazione). La Motivazione è oggettiva, qualcosa che il PG vede/sente/prova. Dovete scriverlo in modo che anche il lettore lo veda/senta/provi. A quel punto il personaggio fa una o più Reazione in risposta alla Motivazione. La sequenza in cui scrivere MRU è quella di ciò che è fisiologicamente possibile. Ricordate che la Motivazione è esterna e oggettiva, la Reazione è interna e soggettiva. Questo pattern crea l’illusione nel lettore di fare un’esperienza reale. Vediamo di scomporlo nelle sue parti:

  • La Motivazione è esterna e oggettiva: quindi la presentate in termini esterni e oggettivi, semplici, in un paragrafo. Ad esempio: “la tigre balzò giù dall’albero e corse verso Jack”. Come se fosse mostrato da una videocamera. Non serve mostrare che il punto di vista è quello di Jack: quello verrà dopo, la Motivazione è semplice e pulita
  • La Reazione è interna e soggettiva: quindi la presentate esattamente come il PG POV la vivrebbe – dall’interno. È la vostra occasione di far sì che il lettore sia il PG POV. La Reazione dovrebbe avvenire nel suo paragrafo, non nello stesso della Motivazione. La Reazione è in genere più complessa e avvine su una scala temporale diversa. Nell’esempio della tigre, nei primi millisecondi si ha tempo solo di avere paura. Nei primi decimi di secondo la reazione sarà quella istintiva, ed è tutto ciò che deve essere: un istinto, un riflesso. Poi si ha tempo di agire razionalmente, pensare, parlare. La complessità della reazione del PG va presentata in quest’ordine, dal più veloce al più lento. Altrimenti distruggete l’illusione che ciò che sta accadendo sia reale. Per continuare l’esempio precedente: “una scarica di adrenalina attraversò le vene di Jack (sensazione). Afferrò il fucile che aveva appeso alla spalla (riflesso), puntò al cuore della tigre e premette il grilletto. <Muori, bastarda>” (azione razionale e parola). Potete anche non usare tutte e tre le componenti, ma è importante che l’ordine sia sempre corretto.
  • Dopo la Reazione arriva un’altra Motivazione: per continuare l’esempio “La pallottolà morse la spalla destra della tigre. Sangue schizzò fuori dalla ferita. La tigre ruggì e esitò, poi saltò dritto verso la gola di Jack”. La Motivazione può essere semplice o complessa, ma deve essere qualcosa di esterno, cioé qualcosa che chiunque potrebbe vedere se si trovasse lì. Quando il ciclo di Motivazioni e Reazioni è finito, la scena è finita. Non fatela finire né troppo presto né troppo tardi. Ogni parte di una scena che non è composta da MRU va eliminata. Ogni frase deve valere.

Scrivere tenendo presente queste regole è impossibile: la prima stesura è quella naturale, che scrivete senza pensare alle regole. Questa è la fase della creazione, è un duro lavoro, e divertente, e senza una sua struttura. Dopo un periodo di pausa potrete dedicarvi alla seconda stesura – ed è lì che dovete far caso a queste regole. A questo punto imponete una struttura, passate alla fase di Analisi che non è più creazione – è distruzione. Smontare e rimontare.

Durante l’Analisi dovete capire se una scena è Scene o Sequel, e renderla tale o eliminarla. Identificatene i componenti e riassumeteli – se non riuscite a farlo, quella parte non è fiction e va eliminata dal libro. Se invece è una Scena o Sequel, fate sì che sia formata da MRU. Fate sempre attenzione che Motivazione e Reazione stiano in paragrafi diversi – ognuno può occupare più paragrafi, ma è peccato capitale metterli nello stesso paragrafo. Se ci sono cose che non sono Motivazioni o Reazioni, eliminateli: non sono fiction e state scrivendo fiction.
Controllate che le Motivazioni siano formate esclusivamente da elementi esterni, che le Reazioni siano il più interne possibili. Eliminate tutto il resto, anche le più brillanti intuizioni. Possono essere brillanti, ma se non sono fiction, non hanno spazio nel vostro libro, quindi tagliategli la gola e gettate la carcassa ai lupi.

Consigli di Neil Gaiman sulla scrittura

Fonte: Varie
Autore: Neil Gaiman
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • Le otto regole della scrittura:
    1. Scrivi
    2. Metti una parola dopo l’altra. Trova quella giusta e scrivila
    3. Finisci ciò che stai scrivendo. Qualsiasi cosa tu debba fare, finiscilo. Finiscilo. (in un’altra occasione ha detto: lo scrittore impara quando finisce ciò che sta scrivendo)
    4. Mettilo da parte. Leggilo come se non l’avessi mai letto. Mostralo ad amici di cui rispetti le opinioni e a cui piace il genere
    5. Ricorda che se vi diranno che c’è qualcosa che non va, molto probabilmente avranno ragione. Se vi diranno come sistemarlo, molto probabilmente avranno torto
    6. Sistemalo. Ma ricorda che prima o poi, prima che raggiunga la perfezione, dovrai lasciarlo andare e andare oltre per scrivere la prossima cosa. La perfezione è come seguire la linea dell’orizzonte. Continua a muoverti
    7. Ridi delle tue battute
    8. La principale regola della scrittura è che se lo fai con abbastanza sicurezza, potrai fare ciò che vuoi. Scrivi la storia come deve essere scritta. Scrivila con onestà e al meglio delle tue possibilità
  • Se ti piace il fantasy e vuoi essere il prossimo Tolkien, non leggere solo letteratura tolkieniana. Tolkien non leggeva letteratura tolkieniana: leggeva libri di filologia finlandese. Leggi al di fuori della tua comfort zone, impara
  • È molto divertente quando personaggi diversi vogliono cose diametralmente opposte, anche perché il lettore finisce per trovarsi in quella strana situazione in cui spera che entrambe succedano. Si può usare la relazione antagonista-protagonista in modi alternativi: il protagonista cade nella trappola dell’antagonista prima di sapere che quello è il suo antagonista; i due si innamorano ecc
  • Una delle gioie della fiction (sia per l’autore che per il lettore) è il problem solving. Si fa il tifo per chiunque usi il cervello per uscire dai guai. Fate sì che debbano pensare a come risolvere la loro situazione, con la conoscenza che tutti hanno a disposizione in modo che il lettore dica “accidenti, avrei potuto pensarci anch’io”
  • Mandate il vostro manoscritto a editori che pubblichino il vostro genere. Una lettera che chiede se vogliono vedere il manoscritto completo, un estratto e una sinossi sono sempre benvenute. Buste preaffrancate col vostro indirizzo aiutano a far girare gli ingranaggi.
  • Prima o poi se avete abbastanza talento verrete pubblicati. Incontrate gli editori, magari andando alle convention. Spesso ci sono associazioni cui potete iscrivervi. È molto raro che il vostro manoscritto venga notato nella pila di manoscritti, ma a volte succede.
  • Se scrivete storie brevi non cercate un agente: cercate di farle circolare. Se invece scrivete romanzi avete probabilità simili con agenti o senza (lui ha pubblicato 3 libri prima di cercarsi un agente)
  • Qualsiasi cosa che vi faccia scrivere è una cosa buona. Qualsiasi cosa che vi faccia smettere di scrivere non è una buona cosa. Ad esempio i gruppi di scrittura sono una buona cosa se vi spingono a scrivere
  • Usate il web. Per feedback, networking, imparare, venire pubblicati
  • Se scrivete solo quando siete ispirati potrete forse essere buoni poeti, ma mai buoni scrittori. Avete un certo numero di parole da scrivere, e non aspetteranno la vostra ispirazione. Alcune citazioni: “uno scrittore che aspetta le condizioni ideali per scrivere morirà senza aver scritto una parola” (E. B. White); “l’ispirazione è per i dilettanti, gli altri si mettono al lavoro” (Chuck Close);

Gamberi Fantasy: appunti di editing

Fonte: fantasy.gamberi.org
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • Curate la grammatica, ma se scrivete dal punto di vista di un analfabeta/ritardato bisogna essere sgrammaticati
  • Attualmente si tende a eliminare le cosiddette “d” eufoniche e si mantiene la “d” solo se le due vocali sono uguali (“a ogni” e non “ad ogni”, ma “ed era” e non “e era”). Un’eccezione è “ad esempio”
  • Non scrivete paragrafi troppo lunghi – se cominciano a occupare più di mezza pagina, spezzateli. In particolare attenzione alle battute dei dialoghi: se non c’è nessuna pausa è come se il personaggio non si fermasse mai a respirare. Questo non vuol dire che vanno inserite pause a vuoto («bla bla bla bla.» Michele fece una pausa. «bla bla bla bla.»), ma fanno azioni (si sistemano gli occhiali, gesticolano ecc)
  • Esplicitate il soggetto se il soggetto implicito non è chiaro. Il soggetto implicito si usa quando il soggetto è lo stesso della frase precedente
  • Le ripetizioni non sono il male e spesso usare sinonimi può infastidire di più (come scrittori dovete scegliere la parola più efficace, e spesso un sinonimo non è la parola più efficace visto che i sinonimi hanno sfumature diverse)
  • Le espressioni che indicano una volontà del personaggio di compiere un’azione sono sempre pleonastiche (Michele salì le scale = Michele decise di salire le scale). Come scrittori dovreste essere eleganti nel non sprecare parole
  • Discorso analogo per “riuscire a”, “tentare di” ecc (Michele riuscì a parare il colpo = Michele parò il colpo)
  • Spesso sono pleonastici anche i verbi legati alle percezioni (Michele andò alla finestra e vide un cane correre in giardino = Michele andò alla finestra. Un cane correva in giardino). Se volete differenziare tra ciò che si vede e ciò che si osserva, basta che l’oggetto osservato abbia più dettagli
  • Siate netti. “Il tavolo era di una tonalità simile al rosso” non ha differenze nella percezione del lettore rispetto a “Il tavolo era rosso”. Il lettore non visualizza “quasi”, “piuttosto”, “circa”, e lo stesso vale per “sembra”. Non dite ciò che sembra, dite ciò che è
  • Eliminare anche i verbi legati ai pensieri (Michele pensò che fosse una bella giornata > Michele alzò il viso al sole splendente. Era una bella giornata)
  • Eliminare aggettivi/avverbi/termini astratti o generici. Camminando per strada potete vedere persone felici, arrabbiate, tristi. Ma nessuno ha un cartello appeso al collo che dice “felice”: sapete dire che è felice per ciò che fa. Uno scrittore deve mostrare, non raccontare, e quindi indicare le azioni che fanno capire perché è felice. Se le persone per strada non facessero azioni per indicare il loro stato d’animo ma avessero cartelli appesi al collo non sarebbero persone, ma manichini con un cartello che le definisce. Lo stesso vale per i vostri personaggi
  • Le descrizioni devono essere coerenti col punto di vista. Se un personaggio entra nella sua camera da letto non si dovrebbe descrivere nulla perché il personaggio non nota i particolari di una cosa che vede tutti i giorni – a meno che ci sia un motivo per notare qualcosa di specifico. Se si vuole descrivere la stanza bisogna essere furbi e far interagire il personaggio con l’ambiente
  • Nelle descrizioni poi, la qualità batte sempre la quantità. Meglio una città ben descritta che cinque generiche. Nel world building poi è in genere meglio passare dal particolare al generale che viceversa (i personaggi vedono ciò che hanno intorno, non l’intero pianeta/città). Raramente vi serve avere sottomano un intero pianeta, invece è vitale conoscere ogni dettaglio dei luoghi dove si svolgerà l’azione. Un soldato potrebbe non sapere indicare sulla mappa dove è stato mandato a combattere, ma saprà ogni particolare del campo di battaglia. Raccontare che gli dèi combattono da diecimila anni non ha niente di epico – è invece epico mostrare l’infinita distesa di macerie dove è caduto un fulmine divino. Il qui e ora è ciò che emoziona
  • Nelle scene d’azione, particolarmente quelle violente, usare descrizioni generiche non funziona (Michele e Anna si affrontarono in un furibondo dimenarsi di spade, in un balletto di affondi e parate). Guardate il vostro duello preferito in un film: ciò che è affascinante è la precisa coreografia che è stata studiata. Immaginate le singole mosse e descrivetele, o sarà come dire al lettore “Senti, io mi sono stufato di pensare, inventati tu come si svolge il duello”. Ma attenzione a non diventare inverosimili e non far accadere cose che in un duello non succederebbero mai (personaggi che si aggrappano al lampadario ecc). E ricordate che nelle scene d’azione non c’è in genere spazio per fare altro oltre a agire (in genere non c’è spazio nemmeno per pensare)
  • Se il vostro personaggio punto di vista sperimenta la tachipsichia (o bullet time, cioè quando in particolari situazioni di stress si sperimenta un’accresciuta acutezza dei sensi, tanto da notare tutta una serie di particolari in un tempo brevissimo) non scrivete che “il tempo rallentò” o “il tempo sembrò fermarsi”, ma mostrate come il personaggio percepisce l’ambiente con insolita precisione
  • Fate soffrire i personaggi. Inserite conflitti dove potete. Spesso gli autori limitano inconsciamente il conflitto (un personaggio vuole aiutare la fidanzata in un giorno di lavoro e la cosa non sarebbe un problema perché può prendere ferie. Meglio se proprio quel giorno ha un’importante scadenza: il lettore seguirà con maggiore partecipazione)
  • Uno scrittore ha spesso svariate idee tutti i giorni. Ma è come vengono messe insieme e come vengono scritte che in genere fa la differenza. Inoltre tutte le idee hanno pari dignità: da chi scrive un romanzo fantasy come metafora del razzismo a chi scrive un romanzo fantasy per comunicare situazioni fantasiose.

Writing craft essays by Chuck Palahniuk – III parte

Fonte: 36 Writing Essays by Chuck Palahniuk
Autore: Chuck Palahniuk
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

(continua da post precedente)

Thirteen writing tips

  1. Metti un timer per scrivere
  2. I lettori sono più furbi di quanto pensi. Non temere di sorprenderli, hanno già letto storie molto più furbe della tua
  3. Prima di scrivere una scena analizzala e studia il motivo per cui la stai inserendo. Serve a un punto successivo, o spiega qualcosa successo precedentemente? Serve per la trama?
  4. Stupisciti. Se permetti alla storia di andare in un posto sorprendente, sorprenderai il lettore
  5. Se sei bloccato in alcuni punti, rileggi le scene precedenti e troverai qualcosa di simile a una buried gun da usare
  6. Usa la scrittura come scusa per dare feste sulla scrittura. Sarà una ricompensa per le ore passate da solo a scrivere e non ti potrai pentire in futuro di quel tempo speso con altra gente
  7. Concediti di non sapere. Più a lungo lasci che una storia prenda forma, migliore sarà il finale. Quando scrivi devi solo sapere la scena successiva, altrimenti la storia sarà noiosa per te e per i lettori
  8. Se senti il bisogno di più libertà nel cambiare ciò che hai scritto, cambia nome ai personaggi. Non sono reali, sono in tuo potere, e capirlo ti permetterà di torturarli
  9. Usa tutte le forme di discorso: descrittivo, istruttivo, espressivo
  10. Scrivi il libro che vorresti leggere
  11. Fatti foto per la quarta di copertina ora che sei giovane e chiedi i copyright
  12. Scrivi riguardo i problemi che ti turbano di più, sono l’unica cosa su cui valga la pena scrivere
  13. Tutto ciò che il mondo vedrà di voi sarà il vostro lavoro

Killing time – part one

Il segreto della storia va rivelato gradualmente, come succede quando si imparano cose nella vita reale. Trama e ritmo sono spesso i due problemi più grandi degli scrittori, e in genere perché il ritmo è troppo lento. Come mostrare che il tempo è passato? Puoi fare un “information dump” di cose relative a qualcosa presente nel libro, ma non si può esagerare. Se si usa questo metodo, vanno usati fatti interessanti, facili da capire e self-contained. Devono essere plausibili per il personaggio narratore (devono essere informazioni che potrebbe sapere), e non serve dare la fonte. Queste parti creano autorità, implicano uno stato mentale e controllano il ritmo

Disconnected dialogue – part one

Ci piace un dialogo quando un contendente dimostra potere, e l’altro lo batte. Una buona trama gioca col potere (un personaggio lo guadagna, lo perde, lo riguadagna). Quando il potere cambia, la storia ne guadagna. Ma se il dialogo è lineare, non c’è frustrazione. È meglio un dialogo rozzo e incompleto, ad esempio domande cui nessuno risponde. Si vedano i seguenti tipi di dialoghi:

A) Hai portato fuori il cane? – Sì, un’ora fa
B) Hai portato fuori il cane? – È il tuo cane
C) Hai portato fuori il cane? – Smettila di starmi addosso

Non fare dialoghi furbi: fai dialoghi di tipo C (Hanno chiamato con i risultati – Sei andata a letto col mio amico?)

Body language – part one

Prova a mettere la TV in muto e crea una lista di gesti. Il 75% delle informazioni di un dialogo viene da postura e gesti, il 18% dalla voce, il 7% dalle parole. Inoltre, più verbi si usano più il cervello si attiva. Si pensi a mettere i capelli in bocca, ruotare gli occhi, indicare, chiudere la mano a pugno, mettere le dita in gola, formare un bacio, segnalare ok, annuire, scrollare le spalle, sospirare, grattarsi la testa, mangiarsi le unghie. I gesti, i tic, e il motivo dietro questi gesti possono dire molto sulle persone (una giornalista anoressica che si tocca il bicipite per misurare la massa corporea)

Objects

Grace Kelly ha fatto trovare e trova asce di guerra nel letto di camere di albergo come simbolo di amore, poi amicizia, poi giovinezza perduta. Gli oggetti dovrebbero avere questo potere nelle storie. Possono rappresentare gli obiettivi o i sogni dei personaggi, o il potere (come l’anello nel Signore degli Anelli), e i migliori cambiano per adattarsi ai diversi personaggi. Trova quali sono gli oggetti da usare, e tienili limitati in numero.

Required reading: absurdity

Leggi “My life with R. H. Macy” di Shirley Jackson e “Dusk in these fierce pajamas” di E. B. White. Ci sono cornici complicate o illusorie che vanno verso l’assurdità.

Utility phrases: when all words fail

Ci sono frasi che si dicono quando non si sa cosa dire. I personaggi dovrebbero averne, e dovrebbero dire qualcosa di loro. Se dicono “non so” indeboliscono ciò che affermano, con “storia vera” confermano l’autorità di ciò che dicono, “devono essere passate le sette” si usa perché la morte di Lincoln avvenne a quell’ora, è una throwaway reference a qualcosa che è successo prima. Probabilmente tra qualche anno li avremo sull’undici settembre, “aspetto che cada la seconda torre”, e i nostri nipoti non sapranno di cosa parliamo.

Names versus pronouns

Questi essay non sono regole o leggi: sono opzioni, sono gli strumenti nella toolbox dello scrittore, si possono usare oppure no. Un altro tool è il seguente: non usare un pronome (lei/lui/egli…) per riferirsi a un personaggio, ma qualcosa di più specifico. I personaggi avranno secondi nomi da usare in occasioni difficili. Etichette. Titoli. Soprannomi. Nomignoli. I nomi sono l’ultima cosa che impariamo di una persona, andrebbero dati solo ai personaggi importanti. I nomi sono l’ultima e la più vaga delle etichette, è meglio farla precedere da un’azione o un gesto, o una sensazione (un suono, un odore). Prova ad esempio a fare una lista dei tuoi nomi, sono tantissimi.

Nuts and bolts: plot points

Bisogna sapere lo scopo di una scena prima di iniziare a scriverla (la scena prepara qualcosa? è un indizio? una risoluzione? rallenta il ritmo per dare più potere alla scena successiva?). A quali domande risponde? Quali nuove domande pone? Chi legge può dire cosa manca, e a quel punto si può decidere che azione inscenare per riempire il vuoto.

Va deciso il prossimo plot point, e va fatto succedere. Le storie migliori in genere più che sorprendere, eccitano creando tempeste di aneddoti personali sulla stessa esperienza, che connettono col mondo. Parlano delle metafore condivise su un argomento. Il lavoro dello scrittore è di esprimere ciò che gli altri non riescono. Gli aneddoti si sommano a aneddoti su sentimenti condivisi: una buona storia evoca altre storie. Ascolta le cose uniche e durature che spingono la gente a parlare.

Tell a lie, bury a gun

Considera il boiler in Shining: all’inizio viene detto che va controllato, altrimenti esploderà. E quando alla trama serve un climax, guardacaso il boiler esplode. Simile a questa buried gun può essere una “bugia”: come la relazione con Mrs. Robinson del Laureato, o Maude che dichiara all’inizio di voler morire al suo compleanno. Quando Harold le prepara una festa, lei dice che si è avvelenata. O un padre promette qualcosa al figlio senza intenzione di mantenere la parola, ma alla fine avviene una trasformazione e la promessa viene mantenuta e tutti sono contenti. Esempi di “bugie” in questo senso quindi possono essere promesse non sincere, crimini, segreti, che possono essere trasformati in buried gun.

Una bugia nascosta concede un climax alla trama. La bugia dà potere al narratore sugli altri. La verità lo mette invece alla mercé degli altri (e riporta a una relazione onesta). Osserva le bugie che la gente lavora sodo per nascondere: chi si dimostra un intelligentone sta nascondendo la sua stupidità. Chi cerca in tutti i modi di farsi bello ha paura della bruttezza. Mantieni una bugia finché diventa impossibile proseguire. A quel punto si comincia a divertirsi.

A story from scratch, act one

(In questo essay viene mostrato il processo di editing di un racconto, analizzando la prima stesura di una storia che è stata pubblicata. Di seguito i commenti dell’autore).
Palahniuk preferisce iniziare una storia con un’azione. Non mostrare niente se non c’è un’azione. Evita il dialogo se puoi usare i gesti. Descrivi un personaggio in base a come il personaggio descrive il mondo (non “come il tetto di una casa” ma “come il tetto della casa dei Lloyd”. Se si parla di soldi, è un concetto astratto, il personaggio penserà invece a cosa può comprarsi con quei soldi, mostrando i suoi sogni e le sue priorità). Nella prima stesura in genere ci si occupa dello sviluppo orizzontale, quello verticale si aggiunge successivamente. Descrivi le azioni (“nascose il vaso”) non le motivazioni (“per tornare a prenderlo più tardi”). Ricorda le sensazioni on-the-body (nella storia in questione il personaggio è bagnato, gli sanguina il naso, e queste cose non vanno lasciate indietro). Rivedendo i liquidi sul corpo il lettore ricoderà le sensazioni fisiche e fungeranno da sommario, dimostreranno lo scorrere del tempo e coinvolgeranno i personaggi. Decidi quali parole il narratore non conosce, e non usarle. Se usa troppi vocaboli ci sarà l’effetto di “parla come un libro stampato”.

Se un personaggio subisce un’esperienza descrivi gli effetti (anche descrivendo il personaggio e come descriverebbe lui) e non ciò che non vede (nel racconto in questione non dice di venir colpito alla nuca da una palla ma parla degli effetti, visto che non può vedere la palla). Le action sequence si costruiscono con molti verbi. Una volta che hai presentato il gesto di un personaggio, riusarlo riporta emozioni senza necessità di rispiegarlo. Un personaggio senza niente da perdere può rivelare il suo più grande desiderio. Per creare tensione suggerisci che nei conflitti l’antagonista vincerà, questo genera simpatia nel lettore. E riusa parti di descrizioni usate su un personaggio per fare da eco all’intera situazione evocata quando la descrizione di quel particolare aspetto è stata usata la prima volta (nel racconto in questione un movimento del corpo rievoca la superiorità fisica dell’antagonista). Per descrivere un lungo viaggio puoi fare un elenco di vie e questo condensa il viaggio in un paragrafo. Alla fine il contratto sociale viene risolto: i desideri iniziali erano vani, la salvezza è arrivata dal credere in qualcosa di nuovo/indescrivibile come Luke Skywalker crede nella Forza quando deve distruggere la Morte Nera.

Writing craft essays by Chuck Palahniuk – II parte

Fonte: 36 Writing Essays by Chuck Palahniuk
Autore: Chuck Palahniuk
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

(continua da post precedente)

Reading out loud

Leggendo il vostro lavoro a voce alta a un gruppo di 7-8 persone vi renderete subito conto di quali parti funzionano e quali vanno corrette. Il tempismo e il ritmo sono importanti e dalle reazioni si impara dove va creata più tensione e dove va spezzata con humor, dove il pubblico va coinvolto e dove possono rilassarsi mentre si crea autorità. Il cervello dei lettori reagisce ai verbi (colpire, baciare, masticare) come se quelle cose succedessero davvero. Usa verbi e azioni, fai succedere qualcosa in ogni scena. Capisci dove serve fermarsi più a lungo per far capire al pubblico un punto della trama non spiegato dal narratore (l’obiettivo è far sì che il lettore arrivi sempre a realizzare qualcosa il paragrafo prima che il narratore lo dica). O dove serve spezzare la tensione con una risata, per portare poi a una crisi ancora peggiore.

Perfino a livello terapeutico raccontare le proprie crisi serve a rilasciare le emozioni che ci bloccano e cercare soluzione.

La monkey mind è quella parte del nostro cervello che non sta mai ferma e cerca di trovare un senso per ogni evento che accade. Accettando questo aspetto della mente si diventa storyteller migliori nel creare un effetto specifico a chi ascolta. La scienza sta dimostrando che ogni volta che vediamo qualcosa di nuovo la nostra attenzione si alza per verificare che non sia pericoloso. Considerate di dover scrivere storie per dare un senso a ciò che accade intorno a noi. In questo modo si possono sfruttare gli eventi che accadono per sfruttarli, invece che farsi sfruttare dagli eventi. Le storie che non riusciamo a raccontare sono in genere i segreti che ci uccidono. A questo punto potete seppellire l’esperienza reale quanto volete, ma in qualche modo scrivere è sempre autobiografico, così come la monkey mind è sempre lì a incasellare quello che vediamo: buono, cattivo, grasso, lento, amabile. Forse l’unico modo di sfuggirle è accettarla, siamo condannati allo storytelling: fare esperienze e creare storie, e usare quell’impulso invece di farsi usare, sopraffare la voce per farle fare qualcosa di produttivo. Usare la monkey mind invece di essere usato. In particolare sulle emozioni relative a un problema che non sappiamo risolvere/tollerare.

Leggere ad alta voce serve a trasformare quel prodotto personale in qualcosa fatto per un pubblico. Parlare ci libera della storia. E ci permette di scavare nella nostra merda personale e trasformarla in arte. Ne puoi fare qualcosa di divertente o eccitante o tragico. O che non esclude gli altri. Qualcosa che aiuta gli altri a vedere e esplorare i loro problemi. Cosa fa scattare le tue emozioni? Perché il trigger è così importante? Trasforma le emozioni irrisolte in storie da condividere. Questo aiuterà anche te, la scrittura diventerà in sé una ricompensa.

Esercizio: trova un modo unico di un personaggio per misurare il tempo (canzoni in macchina?) in modo che quando i personaggi descrivono il tempo, descrivono sé stessi.

Nuts and bolts: punctuation with gesture and attribution

Non stiamo mai completamente fermi mentre parliamo. Guarda cosa fa la gente quando parla: questi gesti dovrebbero essere usati per creare tensione e interesse durante i dialoghi. Persone che parlano e basta sono noiose, vedi il teatro o i film. Usare un’interruzione al punto giusto permette di aggiungere tensione.

Nuts and bolts: the horizontal versus the vertical

Le storie hanno una dimensione orizzontale (da un punto della trama a un altro punto della trama ecc fino alla risoluzione) e verticale (lo sviluppo di un personaggio o di un tema, la risonanza emotiva).

When you can’t find a writing workshop

I workshop ci danno la scusa di scrivere. In alternativa trova ambienti simili, che ricreino le situazioni in cui la tua fantasia vaga per passare il tempo, ad esempio le lezioni. Compito: chiedi la storia di oggetti in vendita.

Learning from cliches… then leaving them behind

Frasi come “stropicciarsi gli occhi” non creano la reazione fisica nel lettore, non reinventano il mondo in un modo unico per quel personaggio. La frase va spacchettata in dettagli sensoriali che creino una reazione. Se hai sentito qualcosa descritto in un certo modo, il tuo lavoro è di descriverlo in un altro modo, basato sulla storia/famiglia/educazione del personaggio, che descrive le cose nel suo modo unico. Reinventa ogni momento in base al personaggio.

Detto questo, è una buona cosa copiare lo stile di scrittori che si stimano. Poi vanno create variazioni, anche basate su tecniche di altri scrittori. Imita per imparare, ma rifiuta i cliché.

Talking shapes: the Quilt versus the Big O

La trama lineare è morta. Due alternative (se ne vedranno altre nei paragrafi successivi) sono: la trapunta o la O.

O: si inizia alla fine della crisi. Es: il Grande Gatsby che inizia con Nick vecchio. I vantaggi sono che si inizia con una scena avvincente e che si stabilisce il narratore: i lettori sanno che il narratore dà forma alla storia, quindi la storia stessa acquista credibilità.

Trapunta: unire una serie di storie diverse. Rappresenta il contesto per raccontare varie storie brevi.

Textures of information

Quello che si ricorda dei personaggi (più dei loro nomi) sono le loro azioni, il loro linguaggio e il loro aspetto. Le texture sono degli strumenti presi in prestito dalla vita reale che si possono usare per dare più potere alla storia. Esempi di texture sono: regole (si veda Fight club), definizioni, cerimonie, frasi su t-shirt, pubblicità, contratti… vengono dal mondo vero e danno credibilità. O le puoi usare per minare la credibilità dell’oggetto vero (es: gli annunci aeroportuali sono in realtà un codice).

Effective similies

Nella realtà un numero limitato di dettagli fisici creano la realtà di cui siamo consapevoli (rumore, odore, texture…). Se scegli il dettaglio giusto si può definire la scena. Cosa fa un personaggio quando non fa niente? (mani/piedi/respiro).

Le metafore sono in genere più potenti delle similitudini (usare direttamente la figura al posto di dire “come…”). Se proprio si vogliono usare le similitudini è meglio: non usare il verbo essere ma spacchettarlo nel verbo più specifico; limitarle, perché distraggono il lettore dal contesto; descrivere com’è il soggetto prima di presentare la similitudine; è possibile esacerbare i dettagli; non usare “come” (meglio cose tipo “X avrebbe potuto essere Y”); evita i verbi di pensiero.

Talking shapes: the Thumbnail

Il paradosso della narrazione è che il narratore sa già come va a finire… come fa a tornare innocente per raccontare con gli occhi che aveva all’inizio? Una tecnica è il thumbnail: un’anteprima di quello che succederà, e la promessa di eventi eccitanti. Questa tecnica crea anche tensione: permette di usare un sottile storytelling il cui scopo è farla dimenticare. Dà autorità e realismo, l’incredibile diventa credibile. Ma non esagerare nei dettagli anticipatori o non avrà senso per il lettore, meglio creare una scena fisica limitata, e il lettore tollererà di più il teasing se verranno messi dettagli reali di un presente tangibile. Questa tecnica è diversa dalla “O” perché in quell’anteprima rivela tutto o quasi.

Talking shapes: the cycle

Funziona nel modo seguente: una persona innocente sembra aver trovato il modo di uscire dalla miseria, ma si accorge poi che è una trappola organizzata per distruggere vittime e auto sostentarsi. Alla fine capiamo che il processo accade regolarmente, è un ciclo, ed è sufficiente vederne uno solo per estrapolare il passato e il futuro. Indizi di questa struttura: ciò che porta alla salvezza viene più a buon mercato del previsto; il personaggio ignora o razionalizza eventi sinistri; la gente inizia a morire; la vittima è in trappola (può essere isolata, o sedata…); la vittima scopre prove inconfutabili della sua dannazione; la vittima prova a scappare all’ultimo momento. Viene poi mostrato lo step successivo, ad esempio l’inizio del prossimo ciclo con la prossima vittima, mostrando anche tracce della fine fatta dal protagonista per confermare la sua sorte.

Questa struttura funziona bene perché riflette una paura comune: il mondo è una cospirazione organizzata per ucciderci, tutti ci odiano e fingono di amarci per usarci e scartarci. Non importa quanto ci si impegni, qualcosa fallirà. Viene così dimostrato che la vita è ingiusta – facendo succedere qualcosa di negativo ad altri piuttosto che a noi. È una tecnica diversa dal thumbnail perché il ciclo si ripete e non si può rivelare troppo subito. In genere all’inizio si intravede la vittima precedente, e l’inizio deve sedurre il lettore (come il protagonista) con cose belle, ad esempio viene scoperto il modo per realizzare il più grande desiderio.

Talking shapes: the rebel, the follower and the witness

Usare una trama conosciuta fa accettare il bizzarro. Ad esempio, Star Wars usa una quest story (chiamata dell’eroe, l’eroe salva la principessa, l’eroe uccide il drago). Allo scrittore può servire quindi identificare il mito di cui si sta parlando e studiare l’originale come blueprint per notare gli elementi mancanti. Una struttura piuttosto in voga è quella di usare tre personaggi principali di cui ne resta soltanto uno (es: Qualcuno volò sul nido del cuculo, Il Grande Gatsby, Fight Club). C’è un ribelle (McMurphy nel nido del cuculo, Gatsby nel Grande Gatsby) che non trova il suo posto nel mondo e turba le persone per come si comporta. C’è un follower che viene sacrificato, e che cercava di compiacere il sistema che il ribelle combatte. Entrambi in realtà rafforzano il sistema. Il follower viene distrutto, il ribelle si distrugge, e il testimone vive con un compromesso, trasformato, e lascia il vecchio sistema. La crisi che porta alla distruzione del follower dà occasione all’ordine sociale di distruggere il ribelle. E il testimone guarda senza farsi notare: è la storia che succede quando ci si trova in una situazione con due contendenti, o anche nelle democrazie con due partiti, come quella americana, e per questo tanto in voga nella letteratura oltreoceano. Una volta che si è riconosciuta questa struttura, la si può variare.

Nuts and bolts: using your objects

L’anello di Colazione da Tiffany ha un valore emozionale sempre maggiore man mano che appare. Rappresenta l’intero messaggio della storia. Un oggetto ben utilizzato può servire come:

  • Pro memoria (collana blu in Titanic): ricorda al lettore parti di trama, incluse le relative emozioni
  • Buried gun (la scritta in Citizen Kate)
  • Segnali (l’anello di Harold e Maude che lui le regala e lei getta via): i personaggi si esprimono fisicamente tramite l’oggetto
  • Continuità (il posacenere verde in Creep show)

Da cosa i personaggi non si separano? Cosa puoi usare per rappresentare salvezza o dannazione? Quali sono i tuoi oggetti-simbolo cui tieni? Anche a livello più banale: un personaggio non può pensare “dio, ho voglia di scotch” ogni due minuti, ma può avere una fiaschetta che tocca spesso.

La chiave è riusarli per dargli potere, farli evolvere e cambiarli, creare ciò che fa esprimere il personaggio.

(continua in post successivo)

Writing craft essays by Chuck Palahniuk

Fonte: 36 Writing Essays by Chuck Palahniuk
Autore: Chuck Palahniuk
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Establishing Authority

Una volta stabilità l’autorità dello scrittore, si può portare il lettore ovunque. Ti crederà. Per farlo si può usare la testa o il cuore.

  • Cuore: utilizza onestà e franchezza. Il narratore rischia di essere lo sciocco invece dell’eroe… ma si rischia anche che il lettore venga coinvolto emotivamente. Questo perché svelando qualcosa di imbarazzante si dimostra al lettore che non si sta provando la propria gloria, non si sta provando a sembrare belli, e quindi anche il lettore sarà più disposto a condividere i propri difetti e le proprie paure (es: viene mostrato un aneddoto in cui il protagonista fa la figura dello zimbello per uno scherzo dei suoi compagni di squadra che gli mettono una sostanza urticante nelle mutande)
  • Testa: dimostrando conoscenza. Si mostra al lettore che si è fatta ricerca sull’argomento di cui si vuole parlare, il narratore è la persona più qualificata per raccontare la storia.

Stephen King ad esempio usa solitamente il metodo del cuore (introduce i personaggi lentamente e attentamente), Tom Clancy la testa (procedure e tecnologia spiegate in modo che si capisca che il protagonista è astuto e preparato e vale la pena spendere tempo con lui).

Si tratta di servire lo storytelling più efficace. Come esercizio puoi provare a scrivere qualcosa di onesto, vulnerabile: può essere doloroso, imbarazzante, parlare di un’umiliazione.
Se si vuole esercitare il metodo della testa, si può chiedere a qualcuno di parlare della sua professione.

Developing a theme

Un tema è come la base di una sinfonia, che ricorre durante tutta l’opera, arricchita di cose nuove. Ad esempio suggerisci il tema del tuo libro durante una festa, nella forma di un aneddoto personale (es “pozzi paurosi dell’infanzia”) e vedi come il tema diventa universale mentre altri ne parlano. Prova a buttare là le paure infantili e poi cerca un pattern e crea un collage per ottenere l’effetto migliore.

Using on-the-body physical sensation

Il lettore va coinvolto mentalmente e emozionalmente. Ma se riuscite a fargli provare sensazioni fisiche, allora avete creato una realtà. La storia deve svilupparsi nella testa, cuore, e viscere del lettore. Questo non succede con parole astratte che descrivono dolore/piacere, ma con una situazione tangibile, dettaglio per dettaglio, in cui gli eventi si succedano nella mente del lettore. “Dolore sordo”, “piacere estatico” sono cliché di un cheating writer che non evocano niente. Bisogna spacchettare l’evento, momento per momento, odore per odore, e farlo succedere. Lo stesso vale per il sesso: bisogna inventare un modo che solo il narratore userebbe, il nomignolo che usa per i genitali, l’eufemismo che usa per il rapporto. La prossima volta che vi ammalate, fate una lista dei dettagli fisici di ciò che accade. Un altro metodo è usare il gergo medico, ad esempio cercando le cause mediche di cose come il mal di testa, o le cure (dicono a quali cause sono indirizzate).

Submerging the I

Le storie raccontate in prima persona allontanano il lettore, ma hanno più autorità. Inoltre permettono di giocare con l’onestà del narratore (si veda ad esempio il Grande Gatsby: Gatsby è davvero così affascinante, o Nick Caraway lo dipinge tale per rendere la sua gioventù più eccitante e giustificare il suo ritorno dai genitori?), la tecnica dell’unreliable narrator (narratore inaffidabile).

Sempre nel Grande Gatsby, il narratore è una persona qualunque che parla del suo eroe – o meglio, un apostolo che parla del suo dio. In questo modo, la narrazione non risulta noiosa.

La terza persona invece ha lo svantaggio che può passare come un dio nascosto, quindi come fare se si vuole usare la prima persona? Nascondendo l’io. Nel racconto di Palahniuk “Guts” si capisce che la storia è narrata in prima persona solo quando il lettore è già agganciato e l’autorità è già stabilita (tramite fatti medici e tramite il mix funny/sad). Se si è scelto di usare la prima persona, meglio eliminare gli “io” il più possibile, e piuttosto usare “mio”, “me”: tieni la telecamera lontana il più a lungo possibile.

Nuts and bolts: hiding a gun

La “pistola” è qualcosa di cui parli (un dettaglio, un errore, una debolezza) che viene dimenticata e che torna per distruggere il personaggio. Spesso si usa per limitare il tempo della narrazione (Il giro del mondo in 80 giorni), e può addirittura comunicare al lettore qualcosa che succederà dopo la fine del libro (si vedano le citazioni di inizio capitolo di Dune, che fanno capire che la moglie di Paul si dedicherà alla scrittura).

Nuts and bolts: “thought” verbs

Non usare verbi di pensiero/intenzione: pensare, sapere, capire, realizzare, credere, volere, ricordare, immaginare, desiderare, amare, odiare. Quindi invece di “si chiese se Monica non apprezzasse che lui uscisse la sera” mostra Monica che prepara il caffé per sé e non per lui. Invece di sapere, mostra ciò che il personaggio sa (invece di “lui le piaceva” mostra lei mentre gli fa la corte). In breve vanno usati solo dettagli sensoriali: azioni, odori, suoni, sensazioni. La storia è più forte se si mostrano le azioni fisiche e i dettagli che possono portare il lettore a sapere/pensare anziché venire imboccati dallo scrittore. Stessa cosa vale per amare/odiare: costruisci il caso come un avvocato.

I personaggi non dovrebbero stare soli perché in genere iniziano a pensare. Piuttosto, falli fantasticare su ciò di cui si preoccupano. Non usare “dimenticare” e “ricordare”. E fai attenzione pure a “essere” e “avere”: nascondi i dettagli nelle azioni e nei gesti.

Nuts and bolts: “big voice” versus “little voice”

I personaggi interessanti hanno opinioni forti, ma non fargli eclissare le “piccole voci” necessarie per azioni fisiche descrittive.

Nuts and bolts: using choruses

Le ripetizioni possono rinfrescare dei punti della trama e far scattare emozioni forti.

Nuts and bolts: saying it wrong

Reinventare un linguaggio per reinventare un mondo (o un personaggio) può essere particolarmente efficace. Ogni persona ha un suo slang e questo la caratterizza. Ogni personaggio dirà qualcosa in modo “sbagliato” da quello che è considerato normale. Si veda ad esempio “The iceberg at the bottom of the world” di Mark Richard, un ottimo esempio di linguaggio.

Beware the “thesis statement”

Queste affermazioni si verificano quando si dichiara all’inizio del paragrafo lo scopo del paragrafo stesso. Ad esempio “… era un posto in cui trovare lavoro era difficile”. Toglie l’intrigo di ciò che si va a mostrare. Lo scrittore è una spogliarellista: ogni indumento va tolto con cura studiata, non si sbattono i genitali in faccia al pubblico. Il lettore deve farsi una sua idea. Ad esempio invece di “Brian si sentiva male” meglio usare “forse era stata la maionese. Le gocce che colavano dal sandwich sembravano un po’ troppo gialle. O forse erano le mosche dietro il banchetto”. Non dire troppo subito, spacchetta il sandwich finché il pubblico si sentirà male. Rimuovi il thesis statement e metti fatti forti e tangibili.

(continua in post successivo)