L’arco di trasformazione del personaggio

Fonte: L’arco di trasformazione del personaggio
Autore: Dara Marks
Categoria: Scrittura
Argomento: Impostazione

Punti chiave:

  • Dare un nome alla trama: una frase con conflitto, azione e obiettivo (es: Schindler affronta i nazisti [conflitto] e rischia tutto [azione] per salvare degli ebrei [obiettivo]).
  • Ci deve essere una motivazione interna, un punto di vista, un tema che dà una prospettiva alle azioni esterne. Non esiste un’azione fatta senza una motivazione interna. Il tema deve arrivare da qualcosa che lo scrittore riconosce come vero, e in genere parla di qualcosa che non è in equilibrio. Il pubblico si identificherà col personaggio che prova un sentimento quando il tema ha un’interpretazione che lo renda una sfida fisica, mettendo a fuoco il tema con un punto di vista preciso
  • La struttura della storia viene suddivisa in oggetto del tema (es per L’attimo fuggente: l’età adulta), punto di vista (carpe diem) che si applica nel contesto (prendere controllo delle proprie vite), costruendo la trama attorno a una lotta (valore individuale)
  • Storia A, B, C (il conflitto interno deve essere chiaro in modo che i lettori capiscano cosa c’è in palio, ma dobbiamo dare anche il motivo interno della C plot: la relazione che spiega perché il protagonista è così, altrimenti al pubblico non interesserà)
    • A: trama, eventi esterni che danno al protagonista l’opportunità di evolvere verso il valore del tema e che non si può risolvere senza B
    • B: sottotrama interna (“sotto” nel senso di fondamento di A), il fatal flaw sviluppa il conflitto interno e rivela cosa il protagonista deve ottenere internamente per raggiungere il valore del tema
    • C: conflitto nelle relazioni, mostra l’impatto che il fatal flaw ha nell’abilità del protagonista di connettere con qualcosa/qualcuno, serve a sfidarlo internamente a cambiare e crescere in relazione a qualcuno/qualcosa; esamina il valore interno che il protagonista deve acquisire per avere successo
  • Arco di trasformazione:
    • Incidente scatenante e parte incoscia in cui ciò che succede è sconosciuto al protagonista. C’è un momento determinante che chiarisce la natura del conflitto ai lettori e cosa serve per risolvere il conflitto
    • Alla fine del primo atto c’è un’escalation del conflitto che porta la storia in una direzione inaspettata, alzando la posta; qualcosa di grande e imprevisto che cambia il corso d’azione, o arrivare alla soluzione sarebbe troppo facile
    • C’è un risveglio, spesso non gradito, che scuota le fondamenta del personaggio e spinga a cambiare
    • I vecchi valori vengono messi alla prova, e tutto quello che non serve i bisogni interni o esterni viene distrutto: la trasformazione richiede esaurimento
    • Midpoint: il momento dell’illuminazione perché si inizia a capire come risolvere il conflitto e si va verso la soluzione
    • Periodo di grazia: si ha l’impressione che il conflitto sia risolto, e a volte gli scrittori lo fanno credere ai lettori
    • Caduta: a causa delle azioni precedenti, le cose sfuggono di mano
    • Esperienza di morte: qual è la cosa peggiore che può capitare dal punto di vista del tema?
    • Discesa: lasciate che le cose continuino a cadere – avete fatto succedere la cosa peggiore e l’istinto è spesso quello di salvare il protagonista: non fatelo!
    • Momento di trasformazione: il protagonista decide il suo destino
    • Climax: rimuovere/sconfiggere/battere ciò che blocca la riuscita
    • Risoluzione: ci fa scorgere come sarà la nuova vita

Arco di trasformazione

Inside story

Le idee sono la parte intuitiva del processo creativo, confuse e stimolanti. Servono poi delle tecniche per mantenere la concentrazione sul tema profondo che ci ha colpito e che è necessario per dare una struttura organica alla storia. La storia riflette sempre una verità su di noi, dandoci coscienza di qualcosa appena al di là di quello che conoscevamo e cambiando la nostra visione del mondo – qualcosa che è nella “borderland”, che si intravede con un’intuizione ma che poi va esaminato. Se si usa solo l’intuizione si ha una bella idea ma una brutta storia; senza intuizione si ha un cliché che non offre una rivelazione.
Lo storyteller è in una “quest for wholeness” che scopre parti della nostra vera natura. Questo è l’arco di trasformazione: o si evolve, o ci si sta spostando verso la morte. Evitare il conflitto non è solo codardia, è tragedia, perché distrugge l’opportunità di crescere e evolversi. Applicato ai personaggi, vuol dire che i buoni resteranno buoni per sempre e i cattivi cattivi, e coraggio, compassione ecc non sono scelte ma diritto di nascita, e per i cattivi non c’è speranza di redenzione. Le storie non devono sottovalutare la complessità del dramma umano, anche perché le storie influenzano la cultura e la gente poi penserà che è davvero così.
Scrivere è lo sforzo di raggiungere quel posto nascosto, quindi è sempre un’attività misteriosa, ma il processo per raggiungerlo non deve esserlo. Questo libro spiegherà come scoprire il proprio processo interiore. Quando qualcosa che leggiamo o vediamo stimola una nuova idea, abbiamo aggiunto una nuova pagina al nostro manuale di scrittura. Quella è la chiave che porta a una struttura più organica, quella che riflette la natura dell’esperienza umana. Quando ci sono grandi problemi, i PG sono messi alla prova e rafforzati/indeboliti. Ci sono cose che abbiamo dalla nascita (aspetto fisico, intelligenza…) ma cose come integrità, compassione, ambizione, coraggio le manifestiamo quando qualcosa sfida la loro esistenza; sono scelte personali che facciamo quando siamo posti di fronte a situazioni che richiedono il nostro coinvolgimento. Nella scrittura questo è l’arco di trasformazione del personaggio, ed è la “inside story” che guida la forza del dramma.

Nota: l’ispirazione è alla base delle tecniche di questo libro. Ci sono momenti di connessione perfetta tra l’immagine e quello che si scrive, ma se non c’è stato un processo volontario per farlo, non si può ricreare; quello è lo scopo delle tecniche di scrittura, che per definizione non sono artistiche quindi non usatele come regole assolute ma come aiuto.

L’inizio

  • Alcune storie suonano piatte perché manca una connessione tra l’attività che succede (esterna) e le motivazioni interne dei personaggi – che è la parte che si collega ai bisogni interiori del lettore. Più forte è la connessione interno-esterno, più è probabile che al lettore importerà ciò che succede. Le azioni esterne sono sempre guidate da bisogni interni. Se una storia ci sembra piatta anche se ci coinvolge, è perché chi l’ha scritta conosceva i principi del creare un senso di urgenza per coinvolgerci, senza però creare questa connessione. Si veda per esempio Apollo 13 e Star Wars: Apollo 13 è avvincente e ben fatto, ma Star Wars ha inserito i personaggi nella storia pop, perché l’esperienza di Luke lo trasforma all’interno (fidarsi di una forza più grande di sé) mentre quella di Apollo 13 era una brutta giornata lavoro. Luke da ragazzino diventa Jedi; Lovell da astronauta coraggioso resta astronauta coraggioso. Se anche muore, è morto da coraggioso. Fisicamente va sulla Luna, internamente resta nello stesso posto. Può fare alla fine ciò che già sapeva fare all’inizio. Luke invece salva la galassia perché internamente va in un posto dove non era mai stato. Ha una sola occasione di centrare l’obiettivo, e ha un istante per decidere se seguire la ragione o l’istinto. Per il pubblico questo non vuol dire solo fidarsi della forza interiore, ma anche muoversi verso gli aspetti sconosciuti del proprio essere, verso la propria anima. Lovell ha già tutte le capacità di superare ogni avversità, quindi la sua non è una grande sfida. Non ci interessa della vita di Lovell o Skywalker, la vita che ci interessa salvare è la nostra, una storia non c’è appassiona quando è un’esperienza passiva ma quando attiva il nostro sviluppo interiore come un’esperienza della vita vera. Pochi di noi saranno chiamati ad avere esperienze interstellari, ma tutti avremo grandi ostacoli da affrontare, o ingiustizie, o limiti personali. Come li affronteremo se le storie ci dicono che solo chi nasce così ce la fa? Le sfide ci danno un’opportunità di scoperta e crescita. Le storie ci insegnano come essere umani. Cresciamo internamente in diretta correlazione con le sfide esterne.
  • Il lettore si connette alla storia quando il protagonista incontra ostacoli e conflitti, perché anche noi li attraversiamo. I lettori osservano da fuori quindi hanno una visione più obiettiva: la storia diventa più appassionante quando i personaggi prendono decisioni emotive che vanno in una direzione che noi sappiamo essere sbagliata. Se la vittoria va ai furbi, ai belli, ai forti, allora non c’è speranza per noi e falliamo perché c’è qualcosa che non va in noi. In Forrest Gump invece le imperfezioni possono diventare fonte di eroismo. In questo modo, il viaggio eroico misura il successo in base alla sfida inferiore. Si ottiene una vittoria contro le proprie limitazioni. Ci dice che le imperfezioni dei PG sono reali, e anche i nostri ostacoli interiori sono sorpassabili.
  • La storia eterna: vogliamo evitare di essere quelle persone il cui spirito è morto prima di morire. In natura niente è fermo, tutto evolve verso la vita o si decompone verso la morte e ogni storia ha alla sua base la domanda elementare di vita o morte. Morte che può essere delle speranze, sogni, relazioni, spirito, desideri. I personaggi hanno l’opportunità di diventare eroici trascendendo le loro limitazioni interne. Ad esempio, in Qualcuno volò sul nido del cuculo, anche se McMurphy muore, vince la mediocrità che minaccia di schiavizzarci tutti. E anche nelle storie tragiche come Goodfellas, il protagonista non vede che tutto intorno a lui è diventato polvere, ma il pubblico sì, e questo è quello che conta.
  • Il processo creativo è spontaneo e inconscio, ma gli scrittori professionisti hanno un metodo per capire cosa esprimono le immagini della creatività, in modo da comunicarlo agli altri tramite un contatto con queste sfide interiori. La superficie di una storia è l’idea, che in genere si esprime con un what if e che porta i protagonisti in contatto con un ostacolo. Quando c’è un conflitto, la struttura di una storia si forma automaticamente intorno al bisogno di risolvere il problema. Gli elementi base di una storia sono trama (rivela cosa è il problema), personaggi (chi prova a risolvere il problema), tema (dà al pubblico una comprensione del perché il problema e le azioni sono importanti). I primi due indicano come creare la storia. Il tema crea una connessione conscia con ciò che la storia voleva veramente dire. Ad esempio, a parità di trama, gli scrittori esprimono il conflitto attraverso il personaggio e quindi la prospettiva che significa qualcosa per loro. In Casablanca, è il conflitto interiore del protagonista tra aiutare la sua ex ragazza e starsene in disparte che ci fanno provare qualcosa. Ciò che può far fallire tutto sono i suoi demoni interiori più che i nazisti. Definire le storie con fattori interni e esterni, di vita e di morte, dà loro un significato. E soprattutto gli elementi strutturali acquistano un significato profondo. La trama diventa il contesto esterno in cui i valori interni del protagonista sono persi o riscattati. A questo punto il sistema di valori dello scrittore è esposto a un punto di vista tematico.
  • L’arco di trasformazione: nella vita tutte le azioni esteriori sono motivate da necessità interiori. Nulla ha senso eccetto per come è interiorizato. Quindi ci sono sempre due versioni della storia: quella esteriore e quella interiore. L’arco segue lo sforzo interiore contro le barriere interiori per far fronte alle sfide esteriori. L’arco rivela come una persona [PG] riesce o fallisce a cambiare [arco] nel conflitto che gli si spiega davanti [trama] dal punto di vista dello scrittore [tema]

Trama

  • Le azioni in sé non hanno valore, non ci interessano. Hanno valore solo quando ricevono un contesto (John va al negozio [non mi importa] per comprare il latte [non mi importa] per il suo bambino [ci importa un po’, ma non ci aggancia] che è malato [un po’ di più] e non mangia da giorni [ci interessa molto]). La trama si sviluppa da un conflitto che deve dare un senso di pericolo che genera il bisogno di una risoluzione (questo è l’obiettivo), e lo sforzo per raggiungerlo è la tensione drammatica che ci connette alla storia. Finché non sappiamo qual è il problema, non ci interessa se il conflitto verrà risolto. Il conflitto guida, l’azione segue. Il conflitto esteriore non deve per forza essere grande, ma quello interiore sì. Nell’esempio di prima, se il padre spreca soldi nel bere c’è un ostacolo interno che ci coinvolge perché sappiamo che finché il padre resta così, il bimbo sarà in pericolo. Questo obiettivo supplementare è la sottotrama, che è importantissima perché la trama porta avanti l’azione, la sottotrama porta il contenuto emozionale e tematico.
  • La gente evolve solo in risposta ai problemi che la vita ci mette davanti (ecco perché si dice che viaggiare apre la mente). Invece di costruire la trama come una serie di eventi interessanti, costruitela intorno al bisogno del protagonista di evolvere. Se il PG accusa gli altri dei suoi fallimenti o nega il problema, il conflitto va verso il tragico, altrimenti il personaggio cresce. Mettendo l’evoluzione al primo posto di ha una guida molto diversa sulle scelte dello scrittore: il conflitto serve a uno scopo specifico. Gli eventi non devono solo essere esterni, fuori dal controllo dei personaggi.
  • Le storie con due trame sono in genere non soddisfacenti visto che c’è meno coinvolgimento. Questo non va confuso con una trama con varie linee d’azione per portare alla stessa destinazione, o con scopi separati ma simili che migliorano il significato (Pomodori verdi fritti, The hours, Dead poets society). Non si divide la storia in pezzi separati, ma si allarga la prospettiva. Cattivo esempio: Heat, guardia e ladro si rincorrono fino allo scontro, ma il climax è ambiguo perché le trame si escludono a vicenda. Se la storia finisce concentrandosi sul poliziotto, rende la trama del ladro inutile, e viceversa. Heat è rimasto vago, diminuendo il valore del film. Ci dovrebbe essere un conflitto superiore che guida entrambe le storie allo stesso finale. Buon esempio: Il fuggitivo, che ha una trama simile, ma la super-trama è che entrambi gli uomini cercano giustizia, pur se con ragioni e metodi diversi. È una visione espansa dello stesso obiettivo/destinazione, e quindi c’è una potente e disambigua risoluzione quando i due pezzi si uniscono nel finale. Altrimenti se lo scopo del conflitto è diviso da trame opposte, la prospettiva dello scrittore si perde o viene neutralizzata. Per risolvere o si elimina la trama più debole (questo aiuta perché elimina materiale in eccesso il che rafforza il lavoro) o si risolve il problema della divisione trovando una connessione allo stesso obiettivo.
  • Dare un nome alla trama è fondamentale. Basta una frase con conflitto-azione-obiettivo (es: Schindler affronta i nazisti [conflitto] e rischia tutto [azione] per salvare degli ebrei [obiettivo]). Uno scrittore deve fare decisioni conscie; all’inizio la trama si può solo intuire ed è random; dando poi un nome alla trama si capisce la direzione. Non c’è da preoccuparsi se il nome sembra generico o un cliché, l’arte sta nei dettagli, e anzi più familiare è, più è facile che la storia toccherà una corda universale. Non esistono troppe storie su avidità, amore, vendetta ecc. Abbiamo un’opportunità di raccontare quella storia a modo nostro. Per distinguere trama da sottotrama basta guardare cosa è azione (trama, esterna) e cosa reazione (sottotrama, interna). Notare che spesso l’obiettivo ha a che fare con la sopravvivenza (che spinge al cambiamento). L’eloquenza non è importante nel dare un nome, la precisione sì; può servire molto tempo per dare un nome; man mano che processate il materiale capirete cosa funziona e cosa no: il nome non è scritto nella pietra. E il nome riguarda la trama, non la sottotrama: in Arma letale è “due poliziotti devono rischiare la vita; lottando con pericolosi spacciatori; per distruggere un cartello” – non c’è menzione al rapporto tra i due poliziotti, o al desidero del protagonista di morire, anche se sono le cose che ricordiamo di più – quella è la sottotrama. La trama dà l’azione cui loro reagiscono,e nel processo evolutivo sorpassano le loro paure. Ordinary people ha una trama character-driven, che difficilmente viene bene: meglio avere conseguenze fisiche, una posta in gioco esterna alta.

Personaggi

  • Ogni essere umano ha il potenziale di essere un eroe in quello che fa. Così come il potenziale di fallire. Un PG non è tragico per ciò che gli succede, ma per ciò che lui non fa a sé stesso. L’obiettivo dei personaggi è praticamente sempre quello di diventare eroi, nel senso di trascendere limitazioni personali a causa del conflitto. Ci deve essere la possibilità di fallimento, o gli eroi nascono così, non lo diventano.
  • Il protagonista è il punto focale di tutto ciò che succede, e la persona più impattata dal conflitto. È quello che porta l’obiettivo specificato nella trama. Attraverso il protagonista i lettori entrano nella storia, e questo rende il conflitto personale. Se usate un punto di vista neutrale, è probabile che anche i lettori lo saranno. È il problema di tante storie con tanti personaggi principali. Il protagonista porta avanti l’obiettivo della trama; una storia forte ha solo una trama; quindi solo un protagonista. Si distingue dagli altri perché oltre a portare avanti l’obiettivo esterno, lo fa anche per quello interno. Se però due o più personaggi hanno lo stesso obiettivo, allora potrebbero condividere il ruolo di protagonista ed essere co-protagonisti (singola entità espressa da più personaggi). Se c’è più di un protagonista con obiettivi separati, bisogna trovare un modo creativo di collegarli in uno, o ci saranno due obiettivi e due punti di vista, e la storia sarà più debole. Riconoscere il protagonista è importante perché la storia si forma attorno al suo bisogno di completare/incontrare la sua sfida interna
  • Personaggi secondari: sono gli antagonisti a creare la sfida.

Tema

  • Il finale di Schindler’s list, con i sopravvissuti che depositano pietre sulla tomba, è così forte da emozionare profondamente lo spettatore. Ci ricorda che tutti abbiamo bisogno delle altre persone,e come ognuno può fare la differenza. Non vogliamo essere Schindler, ma vogliamo essere come lui: il film riesce a raccontare una storia in cui il cammino dell’eroe rappresenta qualcosa di significativo, e acquista un valore simbolico. Se c’è confusione sul tema, non si capisce quale sia il significato della storia, e non si viene coinvolti perché si è confusi tra tanti messaggi diversi. In Salvate il soldato Ryan, si inizia con “la guerra è atroce”, poi “la guerra è eroica” poi “analizzare il successo di una vita avuta al prezzo del sacrificio di un’altra”. Ci sono addirittura temi opposti e il tutto crolla. Lavorare col tema è lo strumento più utile con cui uno scrittore può lavorare, il segreto che manca a tante storie che funzionano per trama è personaggi.
  • Il tema è ciò che dà un significato alle azioni della trama e uno scopo ai movimenti dei personaggi. Nella vita di tutti i giorni non facciamo neanche piccole cose senza motivo, figuriamoci quelle importanti. Quando si hanno lunghi discorsi alla fine, spesso è perché si vuole chiarire il tema che non si è riuscito a esprimere nel corso della trama. Questo dialogo finale non è uno strumento che muove le montagne come un tema ben utilizzato. La chiave è renderlo tangibile e comprensibile, e per farlo gli si dà un’espressione fisica – le azioni del protagonista. In questo modo le scelte non sono più arbitrarie, ma servono uno scopo. E se arriva da qualcosa che lo scrittore riconosce come vero, la storia non suonerà superficiale e falsa. Il tema è basato su cui in cui lo scrittore crede. È la sua voce unica, il suo punto di vista distintivo, a cosa lui dà valore. E dal tema lo scrittore capisce l’intenzione della sua storia. Il punto di vista comprende visione, passione, valori. Sono le qualità al cuore di un tema. Non ci sono risposte perfette alle domande, ma lo scrittore esprime i suoi sentimenti a riguardo e li esplora. Anche perché altrimenti tutte le storie sarebbero uguali: quello che ci fa affezionare a una storia è il taglio personale. Creare personaggi con intenzioni tematiche rende la storia più complessa, interessante e onesta. Influisce non solo sulla costruzione dei personaggi, ma fa anche scattare conflitti nella trama.
  • Scrivete di ciò che sapete: significa che bisogna fare ricerca su ciò che non si conosce – a parte per il tema. Lì bisogna solo scrivere di ciò di cui si ha avuto esperienza; esperienza che però può essere una percezione, non sono richiesti i fatti. Un punto di vista è indisputable. Non serve oggettività: bisogna aprire il cuore alla connessione tra sé, i personaggi, la materia in oggetto. Un tema è un punto di vista, e non esistono punti di vista scorretti. Non conta molto se un punto di vista è di moda (viva il patriottismo; la guerra è atroce): ci saranno sempre detrattori, e sarebbe disonesto (es: Citizen Kane non è stato un successo all’epoca perché il suo tema non andava di moda, ma il tempo ha dimostrato che chi l’ha concepito era un visionario e ci è voluto un po’ alla società per arrivare al pari e capire). Altre storie resistono al cambiare delle mode morali: questo perché il tema può avere più livelli, ad es. la tematica esterna può essere il patriottismo, che porta il pubblico verso questioni umane più profonde come auto accettazione e amore incondizionato (non solo cinismo > patriottismo, ma mancanza di valori > self-worth).
  • Patriottismo, amore, sacrificio, sono solo parole, e metterle in un tema così non funziona. Bisogna dare una visione, un punto di vista, un valore personale. La definizione di patriottismo non spiega che non possiamo sopravvivere senza, se siamo persone migliori o peggiori se non ci crediamo. Bisogna dargli un significato personale. Se il soggetto del tema è la famiglia, vi dovete chiedere cosa credete sia vero della famiglia. In genere il tema parla di qualcosa che non è in equilibrio: “la famiglia viene prima” può distruggere se portato all’eccesso (Il padrino), quindi viene mostrata una situazione in cui non viene considerato il bisogno del singolo. Bisogna trovare la fonte di questo squilibrio. Al cuore di un tema c’è in genere uno dei valori umani fondamentali, ma in genere ogni valore ha un opposto ugualmente vero (identità del singolo – senso di comunità). Questo squilibrio è alla base del conflitto. Un buon esercizio per lo scrittore e analizzare cosa c’è di sbilanciato nella condizione umana: cosa fa divorziare la gente? Cosa c’è alla base dell’odio nei razzisti? Questo è alla base delle buone storie, uno sguardo profondo nello sbilanciamento. Non per rendere i razzisti più comprensibili, ma per dare un insight sulla tragica realtà dietro il loro comportamento e le loro scelte. Le storie con un tema profondo non analizzano razzismo, patriottismo o eroismo, ma ci confrontano con le realtà nel nostro cuore. La realtà dietro questo è che nessuno inventa cosa vuol dire essere umani; siamo tutti lo stesso, a parte nei dettagli.
  • Trovare lo scopo del tema: il tema è una dichiarazione di intenti. Stringendo il campo si mette meglio a fuoco – e questo richiama il concetto di “una sola destinazione”. Che non vuol dire che un singolo tema non può avere idee secondarie collegate. In effetti capita spesso che si scopra che ciò che c’è in superficie non è davvero il punto della storia. Come nella vita reale: in una coppia che discute di soldi, raramente i soldi sono il vero problema. L’alcool travolge l’alcolizzato dall’esterno, ma all’interno c’è spesso mancanza di stima. La povertà non crea violenza, è l’ignoranza e l’isolamento. Il razzismo non si ferma con la retorica, ma curando il cuore. Nell’Attimo fuggente, il tema è espresso subito: carpe diem. Ma come si fa sì che il pubblico non solo riconosca il tema, ma lo senta anche? Il pathos si stabilisce quando il pubblico si identifica col personaggio che prova quel sentimento. Ricorda che il tema deve diventare materiale e visibile, deve avere qualità esprimibili fisicamente nella trama e nel personaggio. Serve un’interpretazione che renderà il tema una sfida fisica per il personaggio. Ad esempio, carpe diem, perché è così urgente? Dall’Attimo fuggente sembra sia perché se non assumi il controllo della tua vita, altri lo faranno. È lo stesso per Luke Skywalker contro Darth Vader: la sua resistenza lo rende un uomo. Assumere il controllo delle proprie vite aggiunge profondità al carpe diem e lo mette più a fuoco. Da questo viene l’azione della trama (per diventare uomini, i ragazzi devono imparare a onorare la loro natura così da ASSUMERE il controllo delle loro vite), dove c’è conflitto c’è azione.
  • Creare la struttura tematica: la trama in genere viene per prima, ma a seguire devono essere i bisogni del personaggio a definire il viaggio. Il tema quindi aiuta anche a creare i problemi esterni che guidano il conflitto e che forzano il protagonista a guardarsi dentro. L’ostacolo più grande è l’antagonista che sfida sia l’obiettivo interno che quello esterno (il tema quindi aiuta lo scrittore a creare l’antagonista). La struttura della storia viene suddivisa in soggetto del tema (età adulta), punto di vista (carpe diem) che si applica nel contesto (prendere controllo delle proprie vite), costruendo la trama attorno a una lotta (valore individuale). L’antagonista quindi svaluta l’individualismo. Per sconfiggere questa forza, serve un obiettivo esterno – la trama (i ragazzi dovranno trascendere la loro dipendenza verso i genitori e la società e imparare a lottare per i loro bisogni) e uno interno – la sottotrama (e valutare la loro autenticità). Non preoccupatevi se non sembra originale – anzi, i temi forti sono quelli che riguardano una parte essenziale della nostra vita. L’originalità non viene da cosa si dice, ma da come lo si dice. Approcciate il lavoro sul tema con immenso rispetto: potreste avete a che fare con cose molto più importanti per voi di quanto immaginiate. Il tema non va confuso con la descrizione della trama – il tema è composto da soggetto (es per in Romancing the stone: amore), punto di vista (l’amore è un’avventura), trama / obiettivo esterno (fidati dell’avventura), sottotrama / interno (segui il tuo cuore). Il valore del tema sta nell’onestà con cui siete disposti a esporre la vostra umanità agli altri. Quando inizia a far male, avete trovato il vero tema – se non tocca le vostre emozioni, non ci siete ancora (non toccherà quelle del pubblico). Serve tanto lavoro per identificare il tema, ed è spesso frustrante, ma è la parte più essenziale del lavoro di uno scrittore. Richiede completa immersione, e ci si può aiutare lasciando fluire le idee tematiche (il tema si rivelerà in più livelli, con auto-rivelazioni e maggiore coscienza). Succederà che vi muoverete nella storia in una direzione solo per scoprire che era più importante di quello che pensavate – e anzi questo è il processo ideale. E può anche darsi che vi porti a esplorare cose che non conoscete (al contrario di quanto si era detto prima) perché scoprirete un impulso inconscio a analizzare qualcosa di più profondo che cerca di esprimersi. È meglio se il tema non è scavato nella roccia perché questo gli consente di espandersi – e potreste addirittura avere un’illuminazione su voi stessi. Meglio quindi scrivere a matita le proprie idee su quale sia il tema, e continuare a scrivere e fidarsi che si avrà un’idea più chiara andando avanti. Meglio smettere di scrivere di ciò che si pensa e iniziare a farlo su ciò che si sente – si hanno anche più probabilità di scoprire qualcosa di nuovo rispetto a chi si muove solo su terreni sicuri e pre-pensati

The fatal flaw (difetto fatale)

  • Fede: i nostri dolori sono un assurdo scherzo cosmico, o hanno un significato e un valore? Gli eventi nella nostra vita non indicano niente, o ogni piccola cosa è parte di un effetto cumulativo che definisce chi siamo? Ogni storia in qualche modo prova a rispondere a domande del genere. Non ci sono risposte assolute, quindi non è detto che cerchiamo risposte: piuttosto, è il processo della ricerca che ci eleva. Questa è la fede che i lettori ripongono negli storyteller, illuminare il cammino per renderlo un po’ meno periglioso. Se nelle storie che scriviamo ammettiamo che gli eventi della vita impattano su di noi, apriamo una connessione con tutti gli altri. Confermiamo che le emozioni, anche quelle negative, non sono sentite solo da noi ma da tutti (si veda il processo di raccontare la propria storia a psicologi e preti, che ci fa sentire meglio; se vediamo validate le nostre esperienze da qualcuno di esterno che le racconta con capacità di storytelling, è anche meglio, “è come se avesse spiegato quello che provo”, si ha validazione e cura). Dobbiamo lasciarci alle spalle le parti obsolete del nostro essere, che non aiutano il nostro sviluppo, in modo che quando raggiungiamo i nostri limiti li possiamo rompere e diventare ancora più grandi. Resistere a questo processo è fatale. Può uccidere speranze, sogni, ambizioni; distruggere amore, creatività, felicità. Immaturità, codardia, orgoglio, intolleranza, indifferenza distruggono relazioni, opportunità e possibilità.
  • Rottura del sistema: vediamo il riflesso della nostra umanità nelle imperfezioni. Se c’è salvezza per personaggi imperfetti come noi, c’è salvezza anche per noi. Abbiamo tutti investito in sistemi di sopravvivenza che hanno fallito (relazioni, lavori, stili di vita…). Ma a un certo punto dobbiamo riconoscerlo e muoverci nell’energia del cambiamento. Nell’infanzia siamo dipendenti dai genitori e questa condizione è necessaria alla sopravvivenza, ma man mano acquisiamo abilità che ci preparano a essere indipendenti e poi – che siamo pronti o no – un giorno questo succede. Le storie ci dicono che la tragedia peggiore è vivere disconnessi dalla propria vera natura, quindi la quest che forma il viaggio della nostra vita è di conoscere noi stessi – questo tocca l’animo di chiunque. Il bambino deve abbandonare i giorni spensierati e i giochi per diventare adulto; l’adolescente l’auto indulgenza nata dall’ego e diventare meno egoista per partecipare a carriera, famigla ecc. Ma non lo si fa facilmente, e questa è la lotta che si ripete nelle storie – la trasformazione ha a che fare con la riconquista dell’io. Senza comportamenti auto distruttivi, depressione ecc, potremmo non accorgercene mai e essere persi. Ci interessa del protagonista solo se connettiamo le esperienze esterne alla lotta interna – lotta, non solo emozioni, o sarà superficiale; all’inizio il protagonista non deve avere gli strumenti interni che ha alla fine. Ad esempio in Ransom – il riscatto, il protagonista (Tom) è sicuro che i rapitori non gli ridaranno suo figlio, ma questa convinzione spunta dal nulla e non c’è collegamento tra il cattivo Tom al lavoro e il buon padre di famiglia che è a casa. La storia funzionerebbe molto meglio se ci fosse una lotta interiore in cui lui capisce che i rapitori ragionano come lui, e se fosse lui al loro posto non restituirebbe il figlio, e quindi decide di fronteggiare la sua debolezza e di non pagare, cosa che sarebbe la strada più facile. Lo scopo delle storie è quello: come fronteggiamo ciò che ci succede determina chi siamo.
  • The fatal flaw: c’è sempre un momento di pausa quando si può passare dalla morte alla vita, il momento in cui le scelte importano di più: cosa succederà? La storia deve quindi richiedere una trasformazione, ed è qui che si definisce il fatal flaw. I vecchi sistemi di sopravvivenza spesso ci fanno sentire soli, impauriti, ma pensiamo che quello sia più facile di ciò che non abbiamo ancora provato e quindi restiamo in relazioni distruttive, lavori che non offrono sfide, comportamenti immaturi. Questo è il fatal flaw: la lotta interiore per mantenere un sistema di sopravvivenza che ormai è stato sorpassato. Il fatal flaw stabilisce il conflitto interiore e guida la storia; si riferisce a una morte fisica o metaforica (morte di sogni, desideri, passioni, identità, o di ciò che ci apre a una più grande visione di noi), ma non deve essere un giudizio dello scrittore sul pg (es: “un sedicenne che si ubriaca è spacciato”) – dipende da quanto il sistema di sopravvivenza sia sbilanciato. Identifica quale sarà il viaggio interiore.
  • Trovare il fatal flaw: il FF è creato dal valore che si oppone al tema/obiettivo interno. Ad esempio nell’Attimo fuggente il tema è “carpe diem”, la sotto trama “rispettare la propria natura” quindi il fatal flaw è “non rispettare la propria natura” e i ragazzi sono in lotta per non rispettarla. E a quel punto nascono nuove domande: perché qualcuno dovrebbe lottare contro la sua natura? Cosa vuol dire non rispettarla? Si può davvero fare? Non ci sono risposte giuste, ma questa tecnica spinge lo scrittore a investigare la propria percezione del tema. Per il pubblico poi è più facile identificarsi con un fatal flaw che con qualsiasi altra caratteristica random.
  • Trasformare il tema in personaggi: questo processo comincia dal fatal flaw, che è l’opposto del tema: se il protagonista è forte sta combattendo le battaglie che lo scrittore vorrebbe combattere, e la storia sarà piatta. La stessa cosa vale per la trama: basta usare l’opposto dell’obiettivo esterno (in Unforgiven il tema è dare valore a se stessi e agli altri; nella trama quindi nessuno dà valore a nulla: due ubriachi uccidono una prostituta; la legge non gli dà importanza visto che è una prostituta, le ragazze del bordello assumono un pistolero per fare giustizia: è una spirale senza fine. Se il fine del bene è distruggere il male, diventa ciò che conquista. Il bene deve invece accettare il suo lato più oscuro. L’ambiente esterno riflette ciò che succede all’interno del protagonista
  • Backstory: la storia dei personaggi prima che la vostra storia cominci dà loro vita – ma inventare una biografia random non serve a niente. Usate il fatal flaw per entrare nel passato del protagonista: come il suo passato lo ha portato a valutare quel sistema di sopravvivenza? In pratica stiamo creando la storia del fatal flaw, connettendo il personaggio con la sua umanità. Se sappiamo che qualcuno è violento perché ha perso il figlio, non gli stiamo dando uno spessore nuovo? Ad esempio, seguendo questo schema per Romancing the stone, si ha: soggetto (amore) punto di vista tematico (l’amore è un’avventura), trama / obiettivo tematico esterno (fidati dell’avventura) contesto (pericoloso, pauroso, imprevedibile), sotto trama / obiettivo tematico interno (segui il tuo cuore), fatal flaw (nascondersi al cuore) tratti del personaggio (isolato, solo, idealizza amore). Il comportamento del protagonista non deve essere un artificio drammatico, ma la manifestazione più logica del suo pensiero basato su un sistema di sopravvivenza sorpassato: il fatal flaw. Quello che rende le storie vive è la tensione di aggrapparsi al vecchio mentre siamo tirati dalla corrente del cambiamento.

Creare l’arco del personaggio

  • Struttura interna: è la parte che tutti odiamo perché suona così non artistica, ma senza struttura le storie non stanno assieme. Lo stesso è vero per ogni forma d’arte: la musica ha strutture definite; gli architetti non accumulano materiale per terra e lo chiamano casa. Il vantaggio è che una volta che il processo della scrittura è codificato, si può guardare oltre, ad esempio per trovare opportunità di esprimere quello che vogliamo comunicare. Poi i grandi potranno portare al limite queste dinamiche. Questo non vuol neanche dire che bisogna completare un modulo per creare una storia. Un conflitto è tale perché c’è resistenza alla soluzione, magari perché si vuole raggiungere questa soluzione ma le informazioni/prospettive intorno al problema non sono sufficienti per risolverlo. Più il problema è difficile da risolvere, più grande il conflitto. Ma la resistenza non può intensificarsi all’infinito. Una prima suddivisione di struttura interna è tra resistenza/conflitto nella prima metà, e rilascio/risoluzione nella seconda. Questo non vuol dire che bisogna essere ostaggio di un 50-50, ma se impilate conflitto su conflitto senza movimento verso una soluzione fino a 3/4 dell’opera, il climax e risoluzione sembreranno forzati e sottosviluppati. Vedrete che un equilibrio dà più tensione drammatica.
  • La piega: resistenza e rilascio portano la storia a salire e poi a scendere, formando di fatto un arco col conflitto che sale e poi la risoluzione che scende. Ma niente resta fisso per sempre: tutti i conflitti raggiungono un punto di rottura dove la resistenza si sposta verso una soluzione, che può anche essere diversa da quella iniziale. E serve un contesto: cosa è successo prima, e cosa succederà dopo. Questo può portare ad altri conflitti: a una serie di alti e bassi continui, che fanno parte del conflitto principale che racchiude tutte queste cose
  • Quaternity: ciò che è inconscio all’inizio diventa conscio alla fine, e questo porta il fatal flaw a diventare trasformazione. Così storie come Schindler’s list non riguardano uomini che si sono trovati al crocevia della storia e che devono prendere scelte autistiche per salvare altri, ma riguardano persone (come noi) prese tra il desiderio di stare sole e il bisogno di essere connesse ad altri. La tensione dinamica tra questa suddivisione conscia e inconscia è parte della vite di tutti noi, e chiede costantemente di fare delle scelte. Non c’è una risposta giusta tra sé e altri, la tensione e il conflitto vengono da uno sbilanciamento delle forze opposte in cui una ha troppa attenzione. Come lo sbilanciamento si applica a voi e alle vostre storie?
  • Storia A, B e C: se si apre il cerchio della Quaternity si ottiene l’arco che va sconosciuto > esaurimento energia del vecchio sistema > conosciuto (capiscono cosa va) > rinnovamento. Questo si esprime sempre in una trama (storia A) e due sottotrame. Come spiegato in precedenza: 1. Qualcosa succede nel mondo fisico che crea il conflitto esterno 2. I bisogni interni causano una reazione interna 3. La reazione interna provoca una risposta esterna 4. La risposta esterna crea un cambiamento interno nel punto di vista del protagonista 5. Come risultato, il protagonista sa risolvere il conflitto esterno. Le risposte emotive devono essere parte della storia perché questa non suoni piatta: quando il conflitto interno cresce abbastanza da richiedere una soluzione, crea un obiettivo che ispira l’azione – questo forma una struttura che ha una sua plotline: è la sottotrama, che non è solo un supporto/approfondimento della trama, ma è sotto nel senso che è il suo fondamento: motiva la storia è dà significato vero e valore. Ci sono due sottotrame principali: il fatal flaw sviluppa il conflitto interno e questa sotto trama viene chiamata “B” story, che rivela cosa il protagonista deve ottenere internamente. La A story dipende dalla B story per risolversi: se il problema interno non viene risolto, non lo sarà neanche quello esterno. Quindi chiedetevi: come il protagonista risolve il conflitto interno? Per rispondere usate le vostre esperienze reali: la trasformazione è un atto passivo? La forza di volontà da sola risolve davvero il tormento interno? Servono anche azioni che validano se il cambiamento è successo, quindi il cambiamento interno viene dimostrato in relazione a qualcosa di esterno. Se un matrimonio è in rovina per l’infedeltà del marito, non basterà scusarsi e promettere di non farlo più. Solo il tempo e la dedizione nella relazione lo dimostreranno. Le relazioni quindi sono un aspetto fondamentale dell’arco di trasformazione. I conflitti nelle relazioni sono la seconda sottotrama principale, la C story. Le relazioni interne sono un filo necessario nella storia. E anche se ci sono punti di contatto, non vanno confuse come una cosa sola: nella A story, il conflitto relazionale è mosso da ostacoli esterni che bloccano i personaggi della relazione dal raggiungere l’obiettivo esterno; nella C story, il conflitto relazionale si focalizza sul conflitto interno del protagonista e serve a sfidarlo internamente a cambiare e crescere in relazione a qualcuno/qualcosa. La storyline relazionale esamina il valore interno che il protagonista deve acquisire per avere successo. L’importante è non perdere mai connessione col tema: nelle storie forti è sempre il valore del tema che il protagonista cerca di ottenere. Quindi A: eventi esterni che danno al protagonista l’opportunità di evolvere verso il valore del tema e che non si può risolvere senza B; B: conflitto interno/fatal flaw che rappresenta cosa manca all’interno per raggiungere il valore del tema; C: conflitto di relazione che mostra l’impatto che il fatal flaw ha nell’abilità del protagonista di connettere con qualcosa/qualcuno. Ad esempio in Casablanca A: Laszlo ha bisogno dell’aiuto di Rick per fuggire di nazisti B: Rick si connette agli altri C: Rick impara ad amare incondizionatamente. Quindi vi potete chiedere: per risolvere il conflitto esterno, cosa deve ottenere internamente il protagonista alla fine della storia, che non è capace di ottenere all’inizio? In una stesura iniziale ci si può concentrare sulla trama, ma poi c’è da integrare il tema fin dall’inizio della storia sotto forma di emozioni (dolore, tristezza, vuoto, desiderio, bisogno). Es: Arma letale, A: fermare il cartello. B: trust life C: i due co-protagonisti devono connettersi e formare una squadra, e non deve poter risolvere A senza B e C.
  • Tirare le fila: queste 4 parti dell’arco (sconosciuto, esaurimento, conosciuto, rinnovamento) formano anche la classica struttura a 3 atti (quello centrale ne include 2). Contare le pagine e creare un punto di fine atto non sono il fine di questa tecnica, ma uno strumento che potete (e se non avete esperienza è caldamente consigliato) usare. Ciò che dà vita a una storia è come accettiamo una sfida e facciamo la scelta di accettare il cambiamento (A), come siamo capaci di distruggerci e ricrearci (B) e come ci relazioniamo agli altri (C)

Atto I

  • Una storia inizia dove l’acquisizione del valore è rilevante. Mette il conflitto in movimento: ogni riga deve stabilire il conflitto. Non serve sapere come la storia va a finire: basta sapere il punto di vista che si vuole esprimere alla fine. Come finisce non cambia molto, è solo una scelta creativa (ad esempio, il conflitto in cui un pg è perso e ci si chiede se si salverà o diventerà parte del mostro che lo ha divorato è alla base di Goodfellas, Pulp fiction, Citizen Kane, Malcolm X, e i finali sono diversi). A questo punto il primo atto diventa il punto dove si crea il conflitto, e dove si mostra come A, B e C sono in correlazione. Ad esempio: nel conflitto esterno un poliziotto deve prendere un assassino (dobbiamo mostrare gli ostacoli esterni al controllo del protagonista, tipo che l’assassino è maestro di travestimenti), in quello interno il poliziotto è ubriaco e non raccoglie bene le prove. Ma è solo un ubriacone se non diamo il motivo interno della C plot: la relazione che spiega perché è così, altrimenti al pubblico non interesserà (es: la moglie lo ha tradito). A questo punto è importante che la storia vada in una di queste 4 direzioni in modo che il pubblico abbia idea di dove la storia vada a parare:
    1) la A story è risolta perché il protagonista risolve la B story tramite la soluzione della C story (arco eroico del personaggio, se sconfiggiamo i demoni interni possiamo sconfiggere quelli esterni)
    2) A non viene risolta perché B e C non risolte (tragico, se non ci occupiamo dei demoni interni, quelli esterni prevarranno)
    3) A è risolta anche se B e C non sono risolte (tragico, una vittoria vuota, all’esterno sembra eroico ma all’interno rischia di diventare un demone)
    4) A non è risolta anche se B e C sono risolte (eroico se la storia dimostra che risolvere A non era poi la cosa giusta per lui, ad esempio l’assassino era una vittima di un’ingiustizia più grande; altrimenti cinico: non importa quanti sforzi facciamo, non possiamo controllare il mondo esterno – ma occhio che si rischia che la storia stessa sembri insignificante)
    Nota che B e C sono sempre collegate.
    Il modo in cui si ottiene un risultato vivido è pensare all’immagine che si vuole trasmettere – non nel senso di una lunga descrizione, ma che risultato si vuole trasmettere con azione, dialogo e setting combinati. Un esercizio che potete fare per vedere l’umanità del protagonista al di là della trama è immaginarlo in attività mondane (si sveglia, o fa colazione) e come creare un’atmosfera che trasmetta come si sente, includendo anche tema e difetto fatale: se i lettori si identificano con le difficoltà del protagonista, quando nel secondo e terzo atto ci si concentra sul conflitto esterno, saranno interessati emotivamente. Ad esempio la scena iniziate dell’Attimo fuggente è un’immagine di come la scuola sia rigida nella sua cerimonia di apertura; in Rocky riflette la desolazione di un uomo che si è arreso. Lavorare con un’immagine vuol dire: cosa si sta davvero cercando di dire? Cosa significa per me? È un’interpretazione personale e deve avere un punto di vista.
  • No all’ambiguità: tenere le cose vaghe perché si vuole essere sottili non funziona, i lettori devono capire che cosa è in palio, o non connetteranno. Le prime pagine devono stabilire il conflitto delle 3 storie. Serve un incidente iniziale (l’inicio della catena di eventi che trascina il protagonista nella storia) e una chiamata all’azione. Il conflitto A in genere si definisce presto e facilmente – per B e C c’è un Defining moment che mette a fuoco il dilemma interno del protagonista. Si può usare sottigliezza, ma il conflitto interno deve essere chiaro in modo che i lettori capiscano cosa c’è in palio. In Rocky, il Defining moment succede quando dopo 15 minuti il coach dice che gli ha tolto l’ armadietto perché è un scamorza, non ha più spirito combattivo. In American beauty è ancora più chiaro: si vede il protagonista che si sveglia mentre la sua voce ci dice che in un anno sarà morto ma ancora non lo sa, e che da un certo punto di vista è già morto, poi lo si vede nella doccia che si masturba e dice “look at me, jerking off in the shower. This will be the high point of my day. It’s all downhill from here”, e poi mostra la sua vita che conferma l’affermazione. Anche nell’Attimo fuggente è un personaggio principale, l’insegnate, a dire agli studenti nei primi 15 minuti di cogliere l’attimo.
  • Sconosciuto: gli elementi della trama nel primo atto hanno a che fare con ciò che il protagonista non conosce (il conflitto è tale perché il protagonista non sa come risolverlo)
  • Primo punto di svolta: alla fine del primo atto c’è un’escalation del conflitto che porta la storia in una direzione inaspettata, alzando la posta. Qualcosa di grande e imprevisto che cambia il corso d’azione, o arrivare alla soluzione sarebbe troppo facile. Nella A story è il risultato di un cambiamento nell’azione esterna. Ancora, deve essere collegato al tema. Nel Fuggitivo, è lo scontro treno-bus in cui la fuga ha inizio: il protagonista salva un poliziotto anche se diventa un testimone della sua fuga. Non facciamo solo il tifo per un innocente, ma per uno che vale la pena salvare. E poi viene salvato dalle fiamme da un prigioniero che gli dice di non seguirlo, che è il tono del secondo atto: se vuole tornare nel mondo, dovrà trovare la sua strada. Non è più il dottore, ma un uomo comune: morte e rinnovamento.
  • Risveglio: si guarda l’impatto che le esperienze esterne hanno sull’interno. Lo scopo della storia è che il protagonista risolva conflitti, quindi la trama deve far sì che sia costantemente confrontato con un bisogno/urgenza sempre maggiori di raggiungere l’obiettivo. La situazione quindi deve anche peggiorare, e questo scuoterà le fondamenta del mondo interiore del protagonista. E se c’è un forte fatal flaw, allora c’era proprio bisogno di una scossa. Il fatal flaw sembra una trappola al protagonista (Luke nell’adolescenza), ma in realtà serve un risveglio, spesso non gradito (vuole crescere, ma non il male che i grandi devono affrontare e che uccide la sua famiglia. Harry e Sally vogliono l’amore ma non io dolore che è parte del pacchetto). La funzione è di dare un nuovo corso alla storia che distruggerà lo status quo e aggiungerà nuova urgenza e bisogno di risoluzione, e fatto partire da un forte conflitto interno. Deve crescere il coinvolgimento emotivo dei lettori.
  • Quindi il primo atto (1/4 di storia) è fatto da incidente iniziale, chiamata all’azione, momento di definizione (chiarisce la natura del conflitto ai lettori e cosa serve per risolvere il conflitto), risveglio. Creare i conflitti di trama e sottotrama nel primo atto (a, b, c vengono definiti qui) stabilisce il tono e crea il senso di urgenza che muove la storia. E ricorda che il fatal flaw deve essere abbinato a cosa si relaziona (avere un motivo), o sarà solo un manierismo (in Arma letale vediamo un poliziotto che ha molto da perdere, la famiglia, e uno che non ha niente da perdere, si fa quasi ammazzare, e poi veniamo a sapere che il motivo è la morte della moglie nel Defining moment in cui la psicologa lo dichiara).

Atto II – prima metà

  • Il secondo atto è la parte che gli scrittori preferiscono di meno, in genere perché è duro lavoro meno “creativo” della scintilla che spesso crea inizi e finali. Il protagonista è appena stato lanciato nello sconosciuto e inizia il cammino verso l’esaurimento, dal risveglio. Ma un conflitto è un conflitto perché non sappiamo come risolverlo, e dobbiamo esaurire ciò che conosciamo per andare in un posto nuovo. Nella prima parte del secondo atto i vecchi valori vengono messi alla prova, e tutto quello che non serve i bisogni interni o esterni viene distrutto: la trasformazione richiede esaurimento, bisogna aver provato tutto e esaurire le risorse perché il nuovo abbia spazio. Il protagonista qui non va nella direzione giusta, ma facciamo il tifo per lui anche se qualcosa sotto sotto suona sbagliato.
  • A, B e C devono proseguire: i tentativi di risolvere il problema esterno A saranno un fallimento, risultando in frustrazione, false speranze, delusione, caos. Nel conflitto interno B ci sarà denial: c’è stato un risveglio, ma è troppo presto perché il pg sappia cosa fare. E visto che gli manca l’abilità di connettersi con le emozioni interne, relazionarsi a cosa vuole davvero è praticamente impossibile. Nella C, le relazioni devono trovare resistenza, ma non in generale: rispetto all’obiettivo della trama, per esempio in amore puntano alla relazione sbagliata (in Harry ti presento Sally, diventano grandi amici quindi non c’è resistenza generale, ma resistenza verso l’innamorarsi). Le azioni devono dirci che i personaggi resistono alla verità (in una relazione abusiva, uno o entrambi fanno il possibile per ripararla),e noi percepiamo che qualcosa non va.
  • Verso il midpoint: la storia deve comportarsi come un elastico teso al massimo in modo da arrivare al midpoint, che è un breaking point nella tensione drammatica. Nonostante gli sforzi, succede qualcosa (di solito nella storia A) che toglie il controllo al protagonista. Nel Fuggitivo, dopo essere stato inseguito ovunque, non può più scappare, e Kimble e Gerard si incontrano: le sue possibilità sono esaurite. Butta la pistola e alza le mani – ma poi capisce che aveva una possibilità che non aveva considerato: si lancia nelle acque di sotto. Fin qui la giustizia aveva ignorato il suo essere innocente, e solo ora può decidere il suo destino, e ha due strade, ma solo una dà speranza, quindi fa un salto di fede e si getta nello sconosciuto. E dopo essersi salvato capisce che vuole prendere il vero assassino. Nessun conflitto può proseguire all’infinito senza indebolirsi, quando si è tirati al punto di rottura, arriva qualcosa di nuovo: nuova informazione o prospettiva. Questo è il midpoint: il momento dell’illuminazione perché si inizia a capire come risolvere il conflitto e si va verso soluzione.
  • Guardarsi dentro: in A succede qualcosa che punta il protagonista nella direzione della soluzione, ma l’impatto maggiore si ha all’interno. È la reazione interna che permette al protagonista di avanzare verso la risoluzione. Inizia a vedere come il suo fatal flaw gli impedisce di risolvere il problema – inizia a capire la verità. Dal midpoint il protagonista deve muoversi nella direzione opposta
  • Il momento della verità: il midpoint lo è sia per il protagonista, che per i lettori: da azioni e reazioni si chiarificano i valori del tema, tanto che se serve comunicare una lezione, questo è il punto. Prima c’è una salita ripida, questo è un buon punto per protagonista e lettori di riposarsi e ricordare il valore della quest. Non serve che il midpoint succeda nella stessa scena per A, B, C, né conta l’ordine. Cosa sposta l’azione verso la soluzione, e cosa sta motivando internamente il protagonista a prendere un nuovo corso? Funziona anche per dire allo scrittore qual è il vero tema, se ancora non l’avesse capito. Restate aperti alle possibilità: scrivendo di cose che vi toccano ma che “non conoscete” potreste avere anche voi una rivelazione sulle vostre motivazioni inconscie – e serve anche a riscrivere la parte precedente se non si era inquadrato il tema (es: fatal flaw non sviluppato). È anche il punto in cui l’amore può sbocciare (prima qualcosa lo bloccava), ad es in Romancing the Stone decidono di cercare loro il tesoro. In Arma letale gli salva la vita e i due iniziano a avvicinarsi: C/relazione si muove (formano una squadra) verso il midpoint, dove Riggs troverà uno scopo alla sua vita (B); A anche: sanno contro chi combattono quando scoprono il cartello.

Atto II, seconda metà

  • Periodo di grazia: A questo punto siamo alla sommità della montagna, si sono usate un sacco di energie, ma ci si sente invincibili per quello che si è ottenuto/scoperto. Si ha addirittura l’impressione che il conflitto sia risolto, e a volte gli scrittori lo fanno credere ai lettori. Deve anche essere evidente che c’è ancora lavoro da fare perché serve dedizione e lasciare andare. Comunque è una ricompensa per il duro lavoro e dà coscienza, si entra nel conosciuto
  • La caduta: la conoscenza (riconoscere un problema) da sola non basta, serve agire (es: riconoscere di essere alcolizzati è un passo importante, ma poi serve agire con costanza). Sembra che la storyline sia completa, ma il midpoint è solo la porta per la trasformazione e serve renderlo evidente perché la storia non suoni piatta. Le cose devono iniziare a scivolare – sfuggire di mano. Le bugie chiedono il loro pedaggio, errori di giudizio o di comunicazione portano a cattiva pianificazione, e si ha un senso di tradimento. Di solito la ragione è che l’ego non lascia andare le vecchie percezioni e valori, e c’è un conflitto tra vecchio e nuovo sé e i protagonisti possono diventare ambivalenti: sono in parte responsabili di quanto succede nella caduta. Può essere anche che l’illuminazione sia più di quanto il protagonista sappia gestire (v Attimo fuggente dove uno studente prende in giro il preside)
  • Esperienza di morte: sembra che il cambiamento possa essere tale solo grazie a una brutta esperienza, e la vita spesso diventa più difficile prima di diventare più facile. Non riusciamo a rinunciare a controllare la situazione – il che vuol dire che siamo attaccati ai vecchi valori. Serve quindi lasciare andare ciò che è obsoleto e arrendersi al nuovo. Questo porterà al secondo punto di svolta alla fine del secondo atto, scatenato da qualcosa di molto grande. Nell’esperienza di morte dovreste chiedervi: qual è la cosa peggiore che può capitare? Qualcosa di esterno che crea problemi alla lotta interna del protagonista. Nell’Attimo fuggente, la morte di Neil è un ottimo incidente esterno perché mette a rischio l’obiettivo interno dell’indipendenza. Approcciare il “botto” dall’interno crea un impatto maggiore, il protagonista sente di aver perso tutto, specialmente i doni ricevuti dal cambiamento nel midpoint. In Harry ti presento Sally, il tema dice che amore e amicizia sono collegati, quindi la cosa peggiore è che perdano l’amicizia proprio quando stava per sbocciare l’amore. Si evita di cercare un disastro random per il secondo turning point. La domanda quindi è: cosa può rompere la loro amicizia? Da qui ci sono varie possibilità. Ricordate quindi che internamente deve sembrare una morte, grande delusione, fallimento ecc – pensate a sensazioni analoghe a un lutto: sconfitta, devastazione, fallimento, rabbia, tradimento. Abbiamo fatto il lavoro interno per cambiare, e sembra uno scherzo crudele che la vita non vada come dovrebbe. Ma non deve portar via l’illuminazione che si è ricevuta. Magari però, oltre a un grande dono, ora sembra anche un grande peso (disprezzo ciò che è successo perché mi ha fatto cadere ancora più in basso). Sembra che tutto sia perso ma la storia non è finita e il protagonista può riottenere le sue conquiste, se combatte. Questa è la sfida del terzo atto
  • Una piega tragica: le storie tragiche si distinguono in particolar modo al midpoint, dove il personaggio tragico manca l’opportunità di arrivare a una nuova coscienza e al posto del momento di grazia c’è una spirale verso il basso
  • In conclusione: il secondo atto può essere complicato ma rivela su cosa davvero state scrivendo, quindi è necessario che anche voi partecipiate all’esperienza del protagonista. Non occupatevi solo della parte del tema nella vostra comfort zone, rassicurante: esplorate le parti fosche perché lì c’è spesso il nocciolo. E non date un significato letterale a ogni azione dei personaggi, considerate anche ciò che simboleggia: sta dando un più grande senso di completezza personale? L’arco di trasformazione porta la storia al di là di quello che lo scrittore immaginava inizialmente, allo stesso modo dei poemi epici alla Omero o Shakespeare. Ci può anche essere un PG tragico (non ha illuminazione) in mezzo a altri eroici: trascinerà gli altri nel baratro? Combatterà le vittorie con contromosse ancora più terribili (alla Cersei di Game of Thrones)? Nell’esempio del case study, Conrad sta meglio ma non ha accumulato riserve interiori sufficienti per reggere un attacco dall’esterno, e quando stiamo cambiando, una delle cose più difficili da sopportare è la critica e il giudizio di amici e familiari che resistono al nostro bisogno di cambiare (punto chiave anche dall’altro punto di vista, quello dei genitori), perché influenza come ci vediamo. Tutto sembra tornare come all’inizio, il peggio che possa succedere, ma non dimenticate che hanno la nuova conoscenza, che non gli si può togliere. Hanno perso una battaglia, ma avranno il coraggio di combattere ancora?

Atto III

  • Lasciate che le cose continuino a cadere: avete fatto succedere la cosa peggiore e l’istinto è spesso quello di salvare il protagonista: non fatelo! Nel diagramma c’è una discesa fin dal midpoint, il conflitto ha acquisito velocità, e più sembra irrefrenabile, maggiore sarà il senso di urgenza nei lettori. Il terzo atto va verso il climax, quindi non si deve rallentare. Anche nel conflitto di relazione. Il protagonista deve sentirsi deluso, tradito, vulnerabile ecc, perché questo lo rende più reale e vicino. È l’opposto del momento di grazia: una discesa che mostra come sarà la vita se il protagonista rifiuta di cambiare, ed è una cosa che deve affrontare da solo (che non vuol dire che nessuno è accanto a lui). A questo punto viene la resa dove siamo forzati a affrontare il mondo in un modo nuovo. Nella discesa in genere vengono riportati alcuni dei tratti più negativi. Dobbiamo ricordare che la trasformazione avviene solo tramite il sacrificio – è la discesa agli inferi dove dobbiamo combattere come non mai. L’esperienza di morte ci spinge al di là di quello che credevamo di poter tollerare. Bisogna permettere di sentire la profondità della perdita avvenuta nel secondo punto di svolta. Se questo non avviene, il punto di svolta non era forte abbastanza e dovete guardarvi dentro: dovete sentire il dolore per descriverlo – non dovete per forza capirlo, ma siate onesti.
  • Incertezza e decisione: anche l’obiettivo della trama deve sgretolarsi – niente è sicuro. Nelle storie eroiche i protagonisti fanno scelte che invece poi risolvono il conflitto esterno e li rivitalizzano. A questo punto qualcosa salva la situazione, in genere partendo dal protagonista o si rischia il Deus ex machina (che funziona nelle storie dove l’obiettivo è di fidarsi del destino ecc). La decisione è il momento di trasformazione, dove il protagonista decide il suo destino. Ci sarà poi l’azione che risolve il conflitto, ma qui c’è la decisione – infatti questo è spesso il climax della storia B. A volte questo momento può succedere a climax avviato.
  • Ciò che blocca la riuscita deve essere rimosso/sconfitto/battuto. L’antagonista deve rappresentare il lato più oscuro del protagonista, e la rappresentazione fisica del conflitto interiore. Da evitare relazioni del climax e del finale con cose non legate al tema, o ci sarà confusione. Ad esempio in Million dollar baby, gli spettatori sono stati confusi dal finale sull’eutanasia quando il resto del film era sulla lotta della protagonista, anche se per gli scrittori l’intenzione probabilmente non era di fare una dichiarazione sull’eutanasia, ma era solo il risultato della storia. Prima dell’esperienza di morte, la storia era sul coraggio necessario per vincere. La decisione finale non è della protagonista, ma di Clint Eastwood, e quindi non si capisce chi sia il protagonista: fino a quel momento era Maggie. E il tema diventa: amare qualcuno abbastanza da lasciarlo andare. Va bene se vi accorgete che il tema è cambiato perché la storia è viva e vi sta dicendo cosa davvero volevate trasmettere, ma a quel punto bisogna sistemare ciò che si è scritto per legarlo al nuovo tema.
  • Risoluzione: serve poi qualcosa che ci faccia scorgere come sarà la nuova vita. Spesso questo ci fa vedere che c’è più vita oltre i problemi e che le nostre lotte valgono la pena di essere combattute. Ci saranno nuove battaglie, ma il protagonista avrà più strumenti per combatterle. Alcune storie usano ironia e paradossi per stimolare il pubblico a farsi domande sui loro valori. Alla fine ciò che era sbilanciato si bilancia per il protagonista, ma le domande restano. “Sé stessi vs altri” è un tema molto usato, e non c’è soluzione che dica che uno è meglio dell’altro, ma c’è un equilibrio ora (Attimo fuggente, non è che i ragazzi fuggono dai genitori creando un nuovo squilibrio, ma capiscono che anche con i limiti imposti dalla società possono mantenere una loro integrità. Nelle tragedie, ad esempio il Padrino, non ci sentiamo necessariamente miserabili come il protagonista, ma siamo spinti a sforzarci per il meglio. In RtS, sarebbe bastato mettere Jack con i cattivi quando sono alla cascata: c’era motivo di dubitare che lui l’avrebbe abbandonata e che l’amore di cui si era fidata era inaffidabile, e quindi il climax avrebbe richiesto a Joan di fidarsi ciecamente di Jack soprattutto se voleva dire rischiare tutto; invece mostrano come Joan sia indipendente: ottimo ma non ha niente a che fare col tema fin lì). Prima c’era bisogno di una pausa, qui invece l’intensità va tenuta forte e spingere i protagonisti oltre il limite. Fa bene anche evocare connessioni inconscie con l’aldilà (come Ulisse che deve andare nel regno dei morti), come oscurità ecc. Non volete che il pubblico sia passivo, ma emozionalmente coinvolto
  • Epilogo: i protagonisti delle storie risuonano perché erano già parte di noi: hanno dato un’identità alle emozioni, e mostrano anche come processarle, muovendoci oltre in un mondo di infinite possibilità. Come il vaso di Pandora (che molti interpretano come negativo, ma è la stessa curiosità che ha spinto Prometeo al fuoco a farglielo aprire), che dono fa lo scrittore al mondo se non apre la sua idea per guardare le storie interne? Il mondo sarà cambiato, migliore, se il contenuto restasse nascosto, per quanto terribile sia? Il sogno di una vita idilliaca è infantile e non contiene la speranza di crescere. E sul fondo del vaso di Pandora c’era proprio speranza, e così le storie hanno dentro di loro orrore e bellezza. Per cui fatevi guidare dalla vostra passione e rilasciate nel mondo le infinite possibilità e verità che stanno nella vostra storia.

Worlds of Wonder

Fonte: Worlds of Wonder
Autore: David Gerrold
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • Il miglior maestro che David Gerrold abbia avuto è un incompetente di docente che gli aveva detto che non sarebbe mai diventato uno scrittore. La rabbia gli è servita – ma non basta. Il secondo miglior maestro è stato quello che gli diceva che la scrittura creativa può essere riassunta in tre parole: “Struttura! Struttura! Struttura!”. Da allora lo Storytelling non è stato un mistero, ma un’avventura. Quali altri segreti cela? Solo dopo aver imparato la tecnica si può vedere il processo oltre la tecnica. Questo processo si può scoprire con alcune domande: come porto altrove il lettore, e lo rendo contento di esserci stato? Come creo un’esperienza così vivida che mentre esiste nella mente, oscura la vita reale? Come posso calarmi così tanto nella storia da raccontarla dall’interno? Lo storytelling è naturale. L’ascoltatore vuole sentire la scoperta dentro la storia.
  • La definizione di storia è: qualcuno ha un problema, lo esplora finché non lo capisce, fa una scelta (difficile) che cambia la percezione e risolve il problema. Insomma, problem solving e lessons learned. Lo storytelling è come la mente concettualizza le esperienze. La mente riconduce tutto a cose da scoprire, capire e padroneggiare: i problemi. Vediamo tutto come obblighi/sfide/crisi che richiedono risoluzione. È la natura umana, e così è condividere l’esperienza. Le tre domande chiave quindi sono: cosa sta succedendo (trama/problema), a chi (personaggio/persona), perché dovrebbe importarci (cuore emotivo della storia – la parte più importante). A quel punto serve solo una comunicazione efficace, e cioè saper evocare l’esperienza. Bisogna dare gli elementi essenziali all’emozione. Ecco perché la rabbia funzionava: tutti l’hanno provata, tutti si possono connettere alla propria, e molte delle storie più efficaci hanno una forte componente di rabbia. Ma dobbiamo andare oltre i limiti. E una cosa che può spingere e ciò che succede quando si va oltre l’entusiasmo. Una passione, uno scopo, un’ossessione ispirata. La promessa di David Gerrold è che un giorno si arriverà a accendere questo entusiasmo in maniera strabiliante. Scrivi onestamente, dal cuore, e ci arriverai.
  • La letteratura dell’immaginazione è caratterizzata dall’evocare il senso di meraviglia. Fai una lista di film e libri fantasy/fantascienza preferiti. Alcuni avranno espanso i limiti della tua immaginazione. Quello è il sense of wonder. Riconoscere che si è appena visto qualcosa di nuovo nell’universo. Per lo scrittore di speculative fiction è necessario creare questa sensazione. Fare storytelling efficace significa sorprendere il pubblico – il resto sono dettagli. Devi cercare sorprese nel mondo, e condividerle. Devi far trasalire (startle) il lettore, e puoi farlo o con lo shock del riconoscimento, o con lo shock di ciò che è alieno, o entrambi. Se non sorprendi il lettore, si chiederà perché ha perso tempo. Ci devono essere sorprese continue.
  • In caso si scriva fantascienza, la scienza è alla base del “what if”. La scienza non è un posto dove si trovano risposte: è il dominio delle domande, dove teorie scorrette vengono gettate via e le nuove sono accettate solo se spiegano meglio la realtà, e come un passo verso una teoria ancora migliore. La chiave della scienza è il metodo scientifico per formulare la teoria. Si basa sulla conoscenza, una prova misurabile che può essere condivisa in modo che ognuno possa provarla per conto proprio. Si osserva un fenomeno, si forma una teoria, la si mette alla prova. L’unica variabile è quella che si sta testando, il resto è fisso. La teoria è una mappa del fenomeno, non il territorio, e potrà sempre essere migliorata. La fantascienza spesso tocca parti dell’universo non ancora mappate dalla scienza. Il sense of wonder arriva dal riconoscimento, ma deve anche essere credibile. Non bisogna contraddire ciò che è già noto. Il lettore deve sentire le emozioni: considera che l’identità è formata in larga parte dal contesto (tempo e luogo). Lo stesso deve essere per l’autore, che subisce una metamorfosi per il mondo che inventa – in questo modo può scrivere la storia dall’interno. Sembrerà che tu ci sia stato.
  • Col fantasy, il what if è impossibile. Ma i lettori vogliono credere al tuo mondo, e questo viene da un sistema consistente di logica. La mente umana cerca connessioni, insiste a cercare una struttura. E se non lo trova si aggrappa alla prima cosa che ha senso. Il fantasy non è abbandono della logica, ma è un reinventarla. È ancora una mappa, ma il territorio non è il nostro. Da bambini pensiamo: se credo a qualcosa con abbastanza intensità, sarà vero. Tutto è animato o controllato da qualcosa di animato (sempre perché cerchiamo un senso in tutto). La mente diventa conscia di sé e crede che tutto sia mente. La mente cerca di capire come funziona l’universo e inventa logiche che lo spieghino (è il motivo per cui leggete questo articolo). Il fantasy risponde a questo bisogno (nella vita, se un sistema in cui credi ti permette di produrre risultati allora funziona; se ti proibisce di farlo, cambialo. Se credi in quel particolare sistema allora per te è vero, altrimenti è superstizione). Potete creare le regole che volete, ma poi le dovete rispettare. Gli dèi non barano. Il lettore sospenderà l’incredulità, mai il buon senso.
  • Fate un esercizio: scrivete che cosa è per voi una storia, in modo conciso per spiegare cosa fa uno storyteller. Non esistono risposte giuste/sbagliate. Fatelo ora e non leggete oltre prima di averlo fatto. Fatto? Bene: la risposta dovrebbe dirvi che cosa cercate voi da una storia. Vi aiuta a settare un obiettivo, o come saprete se l’avete raggiunto? E come saprete perché lo mancate? (Per me: il racconto di un conflitto che intrattiene)
  • Una storia riguarda un problema. Il protagonista è la dimostrazione del problema. Il protagonista è progettato per quel problema. Ma volete far sì che sembri reale, e nella vita reale la gente “sceglie” i problemi: li sceglie quando evita di affrontare la situazione. Se non ti prendi la responsabilità di risolvere una situazione, crei un problema, e in genere affrontarlo crea molte meno noie dell’ansia che porta l’avere il problema. Il problema vero non è la situazione, è la resistenza della mente ad affrontarlo. Ciò che affronti viene affrontato, il resto diventa un problema. E più a lungo lo fai, più il problema peggiora. Lo storytelling si occupa di creare problemi interessanti, di analizzare perché sono problemi, perché l’eroe li ha resi problemi, e poi come li risolve. Il tutto dando dettagli (di come resiste, di come lo scopre e ci interagisce, di come lo risolve). Ciò che rende una situazione interessante sono le complicazioni, il problema sembra irrisolvibile.
  • I problemi sono crisi (quando il problema non viene scelto) o sfide (quando vengono scelti). Entrambi sono eccitanti e richiedono di far “crescere dei denti grandi abbastanza per masticare il problema”. La crisi però ha una deadline. Spesso la risoluzione è una paurosa dimostrazione di rabbia contro le circostanze, e/o c’è vendetta. Nelle sfide la tensione è minore ma c’è una più profonda relazione con l’eroe visto che ha scelto di percorrerla. La sfida mostra la passione del personaggio. Spesso le migliori storie combinano entrambe – magari una sfida diventa una crisi. Poiché mettono il protagonista alla prova da ogni lato, eccitano molto il lettore. Rivelano chi il personaggio sia veramente. Ogni situazione che presentiamo dovrebbe mostrare qualcosa della natura del mondo e dell’eroe. Ciò che dici che stai facendo è chi credi di essere, ma ciò che fai è ciò che sei. Chiedi all’eroe: chi sei? E chi vorresti essere?
  • A chi fa più male? Quello è il soggetto della storia. L’eroe. L’inizio della storia spiega chi sia. Il corpo spiega il perché, mostra tutto quello che i lettori devono sapere sul problema e perché esso appartenga a quella persona. La fine riguarda il come – come risolve il problema. Se “chi” e “perché” sono stati affrontati, il come è automatico (il trucco è renderlo anche sorprendente). Ad esempio gli alieni attaccano la terra – chi ne soffre più di tutti? David Gerrold ha scelto un ragazzo all’università, con aspettative di vita normali; buona parte della famiglia muore, le sue certezze crollano e lui è preso nell’esercito. È perso, frustrato, arrabbiato, ingarbugliato. Serve un eroe che sperimenti il più vasto panorama di eventi. Quindi non la persona più importante, ma quella che sperimenta la scala più vasta del problema. Le persone che incontrerà staranno dramatizzando un aspetto diverso di una condizione umana. Dramma significa confronto: più situazioni e persone incontra, più sono le opportunità di confronto e di mostrare come reagisce. Perché questa scena è importante? Dov’è il dolore? Perché fa male? E (più importante) cosa lo renderà peggio? Metti l’eroe su un albero e buttagli contro di tutto. Il nome del gioco è: Fai male all’eroe! Quando lo fai, mostri il suo nucleo emotivo. Se gli succedono 10 cose contemporaneamente, quale affronta prima rivela le sue priorità. Deve far male in modo che capiamo chi sia l’eroe.
  • Se vi bloccate, fate l’esercizio di rispondere a tutte le domande che vi vengono in mente sull’eroe (nome, età, genitori, dove è nato… Cosa lo rende felice, triste, cosa vuole, di cosa ha bisogno, cosa deve imparare più di qualsiasi altra cosa, cosa ha bisogno di dire e a chi, qual è il problema emozionale che deve affrontare…), poi scrivete una conversazione tra voi e lui in un’intervista che iniziate ringraziandolo (siete dio nel vostro mondo, siate magnanimi) e poi procedete con tutte le domande che volete. Andate avanti finché non c’e più niente di chiedere. Permettetegli di farvene anche lui. Ringraziatelo e salutate.
  • Dovrete dare al lettore un senso di dove sia e cosa stia accadendo, il più in fretta possibile. Ma è meglio se gli autori alle prime armi iniziano in primo luogo con la storia, e mostrano lo stage poi, quando serve. Più mostri, meno devi spiegare. Nella prima mezz’ora di Star Wars non siamo sicuri di dove siamo o cosa stia succedendo. La prima spiegazione la fa Obi-Wan a Luke, sulla Forza. Disponi la scena subito, e continua a farlo. Il modo migliore è mostrando come funzionano le cose (c’è un esempio che mostra degli astronauti su un asteroide, che dicono di sbrigarsi prima che faccia ancora buio, e il sole è appena sorto e sta visibilmente muovendosi – capiamo il setting)
  • Creare un mondo (e quindi dare questa esperienza ai lettori) non vuol dire solo mostrare che sulla luna la gravità è più bassa, ma vuol dire spingersi oltre. Cosa si vede se si guarda fuori dalla finestra? La luna è brulla ed è un avamposto solitario? O una cupola con vegetazione? Ogni cosa che mostrerai della cupola dirà qualcosa della civiltà che l’ha costruita. Quindi devi iniziare a farti un sacco di domande (da dove arrivano acqua e aria, di certo non dalla terra, se fai i calcoli vedrai quanta ne serve, forse usano elettrolisi sul ghiaccio ai poli? Ma ci saranno stazioni che lo fanno, e trasporti di aria e acqua. Quanto costa trasportarle? E il carburante qual è? Forse usano un treno? Ma chi ha messo giù chilometri di binari in tuta da astronauta? Quando hai le risposte, un personaggio può fare un viaggio, vedere alcune di queste cose, e puoi addirittura spiegare da dove arriva il pollo nel panino. Insomma, se guardando fuori vede un prato, vuol dire che c’è un sacco di tecnologia. E la tecnologia non esiste indipendentemente dal resto – per una televisione serve un’industria televisiva. Per un treno serve una motivazione abbastanza forte da spendere soldi per creare linea). Poi fornisci i dettagli: il lettore vuole insight.
  • Creare alieni (nel senso di diversi, non di extraterrestri, quindi si applica anche al fantasy per altre razze/creature): se esiste un equivalente terrestre di quel comportamento, è credibile (e esistono le cose più strampalate sulla terra, tipo neonati che mangiano i genitori)
  • Credibilità: una buona storia di fantascienza può contenere un “bologium” (cosa assurda) e cavarsela. Due e dovete essere bravi. Tre sono la massa critica che solo i grandi maestri possono gestire. Se volete che il lettore creda a qualcosa di impossibile dovete connetterlo a qualcosa di noto. Si veda Jurassic Park: la discussione su come il DNA può essere estratto da zanzare sigillate nell’amabra è abbastanza convincente da tenere vivo il nostro desiderio di crederci. Se la balla è grande, bisogna sedurre il lettore, e lo si fa ancorandosi all’esperienza del lettore. Se vuoi dare credibilità a qualcosa di oltraggioso, lo circondi di altre cose che suonino credibili. La tua storia è una colossale bugia, il trucco è circondarla di così tanta verità da renderla credibile.
  • Complicazioni: un problema non è mai grande come sembra. In genere è più grande. Scopri tutti i dettagli della situazione che crea il problema. Ogni parte è collegata alle altre e l’eroe acquisirà un sacco di conoscenza per gli step successivi. Ma se non c’è logica, è solo un’accozzaglia di elementi. Per far sì che la storia sorprenda e delizi il lettore, le varie parti devono rivelare il grande schema che spiega tutto. Come un puzzle: più pezzi metti, più capisci dove si stia andando. Alla fine ti manca solo un pezzo per capire tutto. E non vedi più i singoli pezzi, ma un tutt’uno. Ogni sfida insegna una lezione e dà qualcosa che, combinato alla fine, darà la soluzione, unito alla conoscenza acquisita. E poi l’artefatto viene distrutto per dimostrare che era una esperienza unica. Anche l’eroe è messo alla prova, e a volte pezzi fondamentali di conoscenza gli arrivano perché si trova in una crisi che nessun altro ha affrontato. La scoperta della natura del problema deve mettere alla prova il suo io.
  • Struttura, struttura, struttura! La scrittura è fare liste: il trucco è sapere cosa mettere dopo. I romanzi in genere hanno due linee narrative e mezza (la principale, qualcosa che la complica, una mezza linea che complica la complicazione). Scrivi le scene di queste 3 linee narrative. Metti le 3 in ordine, poi inizia a farle intersecare. Vedrai che ti servono scene con cui riempire buchi, presagi ecc. Vedrai che tutte sono collegate e hanno bisogno di aggiustamenti. Si consiglia di non farlo al computer, ma ogni scena su una carta, perché permette di trattare le scene come unità – una storia è un insieme di unità motivazionali, ognuna serve a uno scopo e manda avanti la storia: ogni scena deve rendere inevitabile la successiva! Se non sposta i personaggi più vicino alla soluzione del problema, tagliala (pag 109, vedi step tipici di una storia)
  • Trasformazione: è il motivo per cui racconti la storia. La storia è il racconto del perché una persona che all’inizio era X diventa Y. Succede quando ogni altra alternativa è stata esplorata. L’io è esausto – e poi si sorprende reinventandosi. La trasformazione è una dote naturale miracolosa. All’inizio l’eroe dice: non posso farcela. E il problema peggiora. L’eroe diventa la fonte del problema. Finché non lo riconosce non può diventare la fonte della soluzione. Distruggendo la resistenza e trasformandola in responsabilità. La trasformazione inizia quando l’eroe riconosce di essere il problema, in genere dopo averle prese – a quel punto viene risvegliato alla possibilità che ci sia un altro modo di risolvere il problema (Luke, usa la Forza). Alla storia serve il momento che faccia scattare il tutto, in modo che il lettore capisca e possa partecipare. Nel fantasy/fantascienza, la trasformazione è spesso esteriore: l’eroe guadagna poteri. A quel punto il problema si può gestire e in 10 minuti la storia è finita.
  • Tema: vi renderete conto che nei vostri autori preferiti traspare un tema: un senso del mindset e della visione del mondo dell’autore. Perché scrivete? Che effetto cercate nei lettori?
  • Stile: come raggiungo gli effetti creati dai maestri? Esplorarlo vi dà la possibilità di vedere attraverso i loro occhi. Lo stile determina l’effetto che si crea
  • Prime righe: la riga più importante è l’ultima, ma il lettore non ci arriverà mai senza una prima riga che li spinga a continuare. Un buon inizio dispone il palcoscenico o aggancia al personaggio (e poi dispone il palco). Dovrebbe essere abbastanza sorprendente da stuzzicarci a leggere la riga successiva. Deve avere un po’ di mistero in modo che il lettore voglia capire. Cosa è già successo? Chi è coinvolto? Implica un contesto più ampio che deve essere esplorato. Puoi scrivere come esercizio una dozzina di prime righe, anche senza avere una storia. Vedrai che le migliori richiedono una prima pagina, e una buona prima pagina richiede un primo capitolo. È divertente perché permette di creare per il solo scopo di creare.
  • Ultime righe: lasciali senza fiato! Deve lasciare il lettore soddisfatto che tutto quello che c’era da dire sia stato detto, ma anche fare da rampa di lancio per l’immaginazione del lettore rispetto a quello che succederà poi. Dovrebbe implicare che la storia prosegue, lasciarci a speculare su cosa accadrà, specialmente se l’eroe aspetta qualcosa. Le punch line danno una chiusura chiara e drammatica al dialogo, e l’ultima parola (la punch word) è alla fine. Nelle barzellette si mostra il problema, poi se ne dimostra la natura creando suspense, poi si conclude con una risoluzione d’impatto (lasciando senza fiato per sdegno, shock, orrore, sorpresa o delizia). Lo stesso per le storie. Non è solo la trasformazione dell’eroe, ma anche del lettore.
  • Scrivete dall’interno: uno storyteller deve scrivere come se si trovasse nella storia. Non spieghereste passo passo come funziona una normale porta (“afferri il pomolo, lo premi, il meccanismo si comporta così, i cardini fanno questo ecc”), direste solo che la aprite. Questo perché siete in un mondo in cui le porte che funzionano con pomolo e cardini sono la normalità. Lo stesso se la porta è in un mondo fantascientifico ed è normale per il personaggio che si comportino così (“la porta si dilatò”). Non dovete descrivere, dovete evocare. Il lettore deve esperire la storia. Ci siete stati e siete tornati per raccontare. Inoltre meno dettagli date più la descrizione sarà future-proof. Non serve spiegare come è fatta una macchina per truccarsi il volto. E solo dicendo che tale macchina esiste, state dando informazioni sul mondo (che devono mantenere consistenza tra loro): in quel mondo gli uomini si truccano, quindi l’immagine esteriore è culturalmente importante. Non dovete presentare tutte le informazioni, solo abbastanza perché il lettore possa capire che succede e perché risveglino la sua immaginazione mantenendo un piede nella realtà. Se è familiare per il personaggio non dovete esprimere meraviglia e sorpresa anche se una vostra invenzione è meravigliosa per il lettore. La vera meraviglia è che il personaggio la dia per scontata. E per prendere in prestito credibilità, queste meraviglie sono collegate a qualcosa di cui il lettore può avere esperienza. “Stavo andando alla stazione Tosche a prendere alcuni convertitori di potenza” – “Andrai a perdere tempo con i tuoi amici quando hai finito le tue faccende” e tutti riconoscono il non poter uscire con gli amici finché non si sono finite le faccende di casa. Senza spiegare altro di Tosche o dei convertitori di potenza: sono normali per Luke e per lo zio. Il sense of wonder arriva dalla collisione tra reale e immaginario (meraviglia+credibilità). Càlati nel mondo, usa tutti i sensi, e descrivi ciò che stai vivendo. Tu sei lì, sei il personaggio. Evoca l’esperienza nel lettore.
  • Scene di sesso: sono imbarazzanti da scrivere e da leggere. Forse perché il lettore pensa che se l’hai scritto, ti interessava, e quindi riveli cosa pensi del sesso. Tu sei la persona che si è seduta alla scrivania e l’ha immaginata. Una buona scena di sesso non riguarda il sesso, ma la passione.
  • Scene d’amore: riguardano la relazione tra i personaggi (si intende ogni amore, incluso genitore-figlio, tra amici ecc). Non stiamo a pensare a cosa serve per mantenere una relazione d’amore. In una scena d’amore gli elementi base dell’amore sono dimostrati: affetto, fiducia, rispetto, onestà, scherzosità e dedizione.
  • Frasi: se lette ad alta voce non funzionano, cambiale. Se una frase non ti viene, fermati a visualizzare la scena. In genere è meglio tenerle brevi.
  • Aggettivi e avverbi: sono come il trucco, un po’ ti migliora, troppo sembri un pagliaccio. Visualizza la scena, e poi descrivi come ti senti.
  • Paragrafi: ogni paragrafo descrive un momento. Quando il momento è finito, finisce il paragrafo. Deve quindi evocare il momento e spingere il lettore nel successivo. Deve evocare azione, emozione e sensazioni fisiche (tutti i sensi). Non parla solo di cosa accade ma anche di come ci si sente. Risponde a: di cosa parla questo momento? Che immagine visiva voglio creare? Cosa riportano gli altri sensi? Quali emozioni?
  • Evocare: pensa a tutte le parole che possono descrivere la cosa che vuoi evocare, e vedi quali funziona mettere, senza strafare. Ogni paragrafo dovrebbe descrivere il setting e far progredire l’azione
  • Meme: il maestro genera lezioni per sé da ciò che crea. Il maestro sa fare distinzioni tra cose che lo studente ancora non sa distinguere, e le mostra agli altri. Con il linguaggio si può trasformare la visione del mondo della persone. Se non hai le conoscenze per esprimere un concetto, non lo realizzi – ecco perché in 1984 il governo distruggeva le parole che si potevano usare per creare una rivoluzione. Se creassimo parole creeremmo concetti espandendo la visione del mondo – così, ridefinendo una parola cambiamo la visione del mondo (o ne dimostriamo il non senso, come Kasdan ha fatto con la parola “provare”, cambiandone la visione. “Fare o non fare, non c’è provare”)
  • Per trovare nuovi modi di costruire frasi e uscire dalla comfort zone, potete provare la metric prose, o e-prime (non usare il verbo essere). Se una parola vi sembra vaga prendete il dizionario e cercate il termine preciso. Come il maestro, dovete sapere fare più distinzioni. Cercate un altro modo di esprimere i vostri pensieri, e diventerete maestri delle possibilità, oltre a riflettere più accuratamente su ciò che volevate esprimere. Ma occhio: se vi focalizzate sul linguaggio anziché sul messaggio state sbagliando. Dovete essere chiari e precisi, non costruire belle frasi.
  • Dialoghi: dovete creare l’illusione di una conversazione, per presentare un’interazione necessaria, nel minor numero possibile di righe. Creare il sapore di una discussione più lunga, ma tagliando il più possibile, editando per avere un effetto drammatico. Il dialogo deve essere inframezzato da azioni descrittive (alcuni degli eventi fisici che succedono mentre parlano). Nei dialoghi si sta recitando per davvero, e spesso è dove avviene la trasformazione.
  • Disciplina: scrivete almeno 1000 parole al giorno. Non si impara a nuotare leggendo libri, e lo stesso sulla scrittura: dovete scrivere per imparare. E se volete diventare grandi scrittori (o grandi in qualsiasi cosa) dovete fare pratica tutti i giorni. E il processo vi deve piacere, o non state facendo la cosa giusta per voi. A quel punto vedrete che la disciplina merita il successo.
  • Il primo milione di parole sono esercizio. Non contano. Farete pratica a farle leggere. A ricevere brutti commenti. Non preoccupatevi, non contano. Se trovate un editore così disperato da fare l’errore di pubblicarvi, non pensate che voglia dire qualcosa. Se non avete scritto un milione di parole (circa 10 romanzi) state ancora facendo pratica. E se anche vincete un premio, è ancora pratica: alzatevi, prendertelo, ringraziate e tornate a sedervi – ogni altra cosa sarebbe imbarazzante. Solo dopo il primo milione di parole potete prendervi sul serio.
  • Siate specifici. Dovete sapere cosa state cercando di dire
  • Perché scrivere? Perché nessun altro scriverà le avventure che vorreste avere. Ma una storia è un atto comunicativo, non è solo per voi. Se nessuno legge, la comunicazione non succede. E se succede – cosa volete che succeda? Siamo animali comunicativi. Quasi tutto intorno a noi è comunicazione. Spesso i problemi derivano da scarsa comunicazione. Per il fatto che esistete, fate la differenza. Che tipo di differenza volete fare? Ciò che scrivete avrà effetto su chi leggerà, le idee hanno una conseguenza. Cosa volete dire al resto del mondo?
  • 10 consigli conclusivi (“un buon consiglio vale esattamente quanto l’avete pagato”):
    1. Siete ciò che fingete di essere. Fingete in grande
    2. Siate il vostro più grande fan
    3. Siate il vostro critico più feroce
    4. L’impazienza è fatale. Apprezzate ogni momento della vostra storia. Se non appassiona voi, non appassionerà nessun altro
    5. Non potete scrivere di ciò che non conoscete. Se non conoscete, andate a imparare
    6. Show. Don’t tell
    7. Create aspettative. Poi sfidatele. Sorprendetevi
    8. Scrivete la vostra storia
    9. Siate appassionati
    10. Puntate alle stelle

Gamberi fantasy – regole di scrittura

FonteGamberi Fantasy
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Nella narrativa di genere, “scrivere bene” significa adottare uno stile che sia trasparente per il lettore (al contrario della literary fiction in cui lo stile è più importante del contenuto) – questo perché vogliamo che il lettore sospenda l’incredulità e creda a ciò che legge, e se il lettore si accorge dello stile, allora si ricorda che sta leggendo un libro. L’autore vuole immergere il lettore in un altro mondo, e uno stile ricercato impedisce questo scopo.

I generi poi esistono per far sì che il rapporto tra autore e lettore sia chiaro (ad esempio la letteratura fantastica include fiaba, fantasy, fantascienza, horror soprannaturale – nel fantasy il fantastico non può essere spiegato in maniera scientifica; nella fantascienza sì; nell’horror è usato per spaventare il lettore. L’elemento fantastico deve essere un fulcro della narrazione, determinante, e non semplice sfondo. Gamberetta ha preparato uno schema dei sottogeneri della letteratura fantastica). Se il lettore vuole leggere un giallo e presentiamo il nostro libro come un giallo, ma in realtà si rivela poi un fantasy, il lettore resterà deluso.

Veniamo alle regole base che aiutano a raccontare belle storie:

Show, don’t tell: (si veda articolo dedicato) il lettore deve vedere cosa succede. “Laura uccise Mario” racconta, “Laura premette il grilletto e il proiettile portò via buona parte della scatola cranica di Mario” mostra. Raccontando, lo scrittore palesa la sua presenza allontanando il lettore dalla realtà virtuale della storia. Inoltre solo mostrando si fa presa sui ricordi e il lettore crede di essere presente alle vicende che succedono.
Se quello che vogliamo mostrare è noioso, meglio invece raccontarlo (“Laura prese un aereo e volò a New York” – è raccontato, ma è meglio che mostrare un volo in cui non succede nulla).

Scrivi di quel che sai: l’autore ha il compito di convincere il lettore che quello che legge non sono cretinate. Per riuscire in questa impresa l’autore deve calare l’elemento fantastico in un mondo verosimile e credibile. Tale mondo deve essere concreto tanto che il lettore lo possa accettare come realtà, elemento fantastico incluso (se questo particolare del mondo è così realistico e quest’altro particolare è così realistico, allora anche i draghi devono esistere). Un’accurata conoscenza degli argomenti dona alla narrazione un intreccio di particolari che fa credere che lo scrittore non stia raccontando favole, ma sia lì a filmare la storia. Questo significa che se volete parlare di cose che non conoscete (es: battaglie) dovete documentarvi – questa dovrebbe essere una questione d’orgoglio per presentare al pubblico un mondo preciso e curato dove ogni particolare è verosimile. Questo richiede parecchio impegno – il mestiere dello scrittore non è semplice.

Buttare il superfluo: lo scopo è raccontare una storia, tutto il resto non è degno di esistere. Parole, scene o personaggi che non aiutano lo svolgersi della storia devono sparire – anche se bellissimi. Per questo motivo in genere si consiglia di eliminare aggettivi e avverbi.

Scrivere in maniera semplice: il lettore deve capire cosa state scrivendo – forzare un linguaggio forbito (la “prosa raffinata”) rompe la sospensione di incredulità. La narrativa di genere vuole raccontare storie a tutti, non solo ai laureati in lettere antiche. Lo scrittore di genere è felice di essere capito sia dal professore cinquantenne che dal bambino di 10 anni, e scrivere semplice è più difficile che scrivere raffinato.

Struttura semplice: non vuol dire che la trama non debba essere complessa! Si parla di struttura. La struttura della storia deve essere semplice: ci deve essere una buonissima giustificazione per interrompere la narrazione e inserire un flashback. Strutture narrative complesse con sottotrame che si intersecano possono essere affascinanti, ma se la complessità è fine a sé stessa, il lettore è fuori dalla storia per ammirarla dall’esterno. Sottotrame, flashback e salti temporali devono esistere solo se rappresentano l’unica maniera per narrare la storia – meglio spostare indietro il punto scelto per iniziare la storia piuttosto che violare la linearità con mille flashback. Per un motivo analogo il prologo è spesso da evitarsi.

Evitare l’inforigurgito: l’inforigurgito, o infodump, è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. Sia perché l’autore si rende conto che certe informazioni sono necessarie per comprendere gli sviluppi della storia, sia – quel che è peggio – se l’autore crede che lo siano quando in realtà non lo sono. L’inforigurgito in genere si presenta in due forme: con l’intervento diretto dell’autore o con dialoghi o pensieri farlocchi.
Nel primo modo la narrazione è interrotta e l’autore sale in cattedra per insegnare al lettore – rompendo la sospensione di incredulità (es: “Laura sollevò la spada, pronta a tagliare la testa al coboldo, una razza goblinoide che si insediò duemila anni fa…”). Questo errore è spesso tipico degli scrittori che hanno passato ore a ideare un loro mondo e si convincono che l’ambientazione è bella in sé e vada mostrata. Non è così, mai, quello che conta è la storia. Il lettore in genere pensa “chissenefrega!” e se lo scrittore insiste, il lettore pianterà il libro: le informazioni in sé non sono interessanti, è come vengono integrate nella storia che le rende interessanti.
La seconda forma è il dialogo farlocco (es: “come saprai bene, i coboldi sono una razza goblinoide…”) in cui il dialogo è forzato e inverosimile, e rovina la credibilità della storia – i personaggi non spiegherebbero quelle cose in un mondo realistico.
La soluzione all’inforigurgito è mostrare: se è davvero vitale fornire quelle informazioni al lettore, si può mostrare la società cobolda in azione e il lettore ne ricaverà le informazioni necessarie. Rispetto ai dialoghi, si può usare l’inforigurgito in un dialogo solo se davvero i personaggi parlerebbero di quelle informazioni, ad esempio perché uno dei personaggi non ne è a conoscenza (evitando in questo modo il “come ben sai”).

I dialoghi: sono fondamentali per caratterizzare i personaggi (pensate alle persone che conoscete solo su internet: avete un’idea ben precisa di loro, eppure li conoscete solo tramite i loro dialoghi). Una trattazione completa di come scrivere un buon dialogo è stata affrontata in un altro capitolo, ma gli errori più comuni sono i seguenti:

  • Personaggi che parlano come un libro stampato, quando il re e il contadino si esprimono nello stesso modo. Persone che per background sono rozze o scurrili dovrebbero esprimersi in modo rozzo e scurrile
  • Personaggi che parlano come nella realtà: il dialogo deve essere verosimile, non vero (nel dialogo vero ci si interrompe spesso, non si finiscono le frasi, ci si parla addosso…). Il dialogo deve essere funzionale alla storia e filtrare il superfluo, lasciando solo la parte vitale per lo svolgersi della vicenda
  • Dialogo indiretto: quando si inserisce un dialogo indiretto (Laura disse che aveva fame) si sta raccontando e quindi infrangendo la regola dello Show don’t tell (vale comunque la regola della noia – se un dialogo è noioso ma necessario si può raccontare).

Saper gestire il punto di vista: la scelta di dove piazzare la “telecamera” della narrazione deve essere compiuta in base alle reazioni che si vogliono suscitare nel lettore, quindi occorre essere consapevoli di che effetto hanno le varie scelte. La telecamera può essere sulla spalla di un personaggio, dentro la sua testa, in un punto fisso, o muovere a seconda delle circostanze. Ecco gli errori più comuni:

  • È meglio evitare il narratore onnisciente, che può riprendere la vicenda da qualunque angolo, personaggio, tempo. Questo perché spesso il narratore finisce per essere visibile e quindi il lettore non crede più di trovarsi in un mondo nuovo, ma sa che un narratore gli sta raccontando una storia. Inoltre se il narratore onnisciente fa un’affermazione, questa diventa verità assoluta e contraddirla distruggerebbe la credibilità. Il narratore onnisciente non offre in genere vantaggi rispetto agli altri tipi, ed è invece pieno di rischi
  • La prima persona va usata con cautela – è più difficile che usare la terza persona. Innanzitutto c’è un ostacolo: con un narratore in prima persona è netta la sensazione che il protagonista stia raccontando. Non è grave come avere il narratore onnisciente a fare da barriera perché il narratore onnisciente si identifica con l’autore, ma è comunque un ostacolo [si veda sezione di Chuck Palahniuk in cui consiglia di far capire che la narrazione è in prima persona solo quando il lettore è già agganciato]. Per narrare in prima persona ci dovrebbe essere una ragione, non a caso i romanzi in prima persona hanno spesso una cornice che introduce la narrazione. L’altro problema riguarda lo stile: ogni parola, descrizione, scelta di ciò che si racconta è una caratterizzazione del personaggio narrante a cui va fatta attenzione. Questo può andare in conflitto col concetto di stile trasparente: la scelta dei termini non può più essere neutra e piegata solo a necessità di efficienza, ma deve tener conto dell’effetto che il narratore avrà sul lettore per il fatto di esprimersi in quel modo. Ad esempio nessuno ha niente da obiettare se un narratore in terza persona indugia a descrivere un cadavere, ma se a farlo è un narratore in prima persona, si avranno una serie di considerazioni sul personaggio. In genere bisogna avere esperienza e talento per saper maneggiare un narratore in prima persona
  • Cambiare punto di vista è traumatico perché richiede al lettore uno sforzo mentale per adeguarsi. Dunque a meno di ottime ragioni bisognerebbe evitare di cambiare il punto di vista durante una scena

Da ciò deriva che la scelta più semplice ed efficiente è in genere quella di usare la terza persona limitata: la telecamera è posta sulla spalla di un personaggio e può inquadrare solo quello che il personaggio vede, e in compenso non è vietato “inquadrare” di tanto in tanto anche ciò che il personaggio pensa – ma solo lui, solo il personaggio con la telecamera. Non cercate di essere originali a tutti i costi: l’originalità, nella narrativa di genere, è nella storia. Altrimenti il lettore sarà più interessato alla scelta stilistica che a appassionarsi alla vicenda.

I personaggi: l’autore deve conoscere i propri personaggi. Deve saperne vita, morte e miracoli ma, soprattutto, deve conoscerne le motivazioni. Perché un personaggio agisce in una certa maniera, quali sentimenti e ideali lo muovono, ciò dev’essere cristallino per l’autore. Data una certa situazione, i lettori devono poter essere in grado di prevedere le azioni dei personaggi, grazie al fatto che l’autore ha ben caratterizzato i personaggi. In genere è più importante avere chiaro il loro modo di pensare che il loro aspetto fisico.
Un personaggio deve agire – l’inazione è l’opposto della sua caratteristica di essere un personaggio. Un personaggio deve muovere la storia, avere un ruolo attivo, o non serve alla storia – peggio ancora se passa il tempo a lamentarsi. Il principio dell’agire determina quali personaggi estrarre dall’ambientazione per renderli protagonisti. Un buon consiglio è scegliere personaggi che soffrono: sono quelli che hanno motivazioni più forti ad agire. Per lo stesso motivo in genere si evitano personaggi troppo potenti: è raro che agiscano in prima persona, e se lo fanno spesso non sono credibili. Danno ordini che altri agiscono – questi altri sono buoni candidati personaggi.
Esiste la troppa caratterizzazione: il fulcro deve sempre essere la storia, per alcune storie non serve che il personaggio sia tormentato, con una personalità complessa e sfaccettata. Se un personaggio si appassiona più a Gulliver che ai suoi viaggi è un errore, e lo stesso vale per molti romanzi di Asimov.
Anche se l’autore può ispirarsi a amici e personaggi, questo giochino non deve essere palese, o ne patirà ancora la sospensione di incredulità.

Corso di scrittura creativa: personaggi e dialoghi

Fonte: Corso di scrittura creativa
Autore: Alessandro Manitto
Categoria: Scrittura
Argomento: Personaggi

Personaggi

Negli ultimi anni i romanzi incentrati sulla trama con un concatenarsi di causa-effetto hanno molto successo, ma anche la tecnica alternativa di utilizzare le interazioni tra personaggi può essere aggiunta alla prima. Si può costruire prima la trama e poi i personaggi, o prima i personaggi e poi la trama, ma questa tecnica funziona solo se l’autore conosce molto bene i personaggi.

Per descrivere i personaggi si possono usare i seguenti punti di vista (crea una scheda per ogni personaggio inserendo tutti i documenti utili su di lui, come un investigatore privato):

1. Preso singolarmente:

  • Nome: daglielo subito, anche se poi lo cambi, per individualizzare. Se il personaggio è ben caratterizzato, nessun nome è banale. Se non vuoi confondere il lettore evita i nomi simili, ed evita che la prima lettera di personaggi importanti sia uguale perché la mente del lettore la usa per identificare il personaggio. Se non riesci più a cambiare il nome, hai trovato quello giusto
  • Cognome: evita quelli troppo didascalici riguardo al carattere. Buona tecnica per cognomi esotici: cerca il nome di un piccolo paese nello stato in cui abita il personaggio e modificalo leggermente
  • Crea della documentazione, ma non inserirla a forza nel libro: alcune cose serviranno solo a te per renderlo più vivo
  • Descrizione fisica: non è necessaria. Alcuni autori non danno le caratteristiche fisiche per aiutare l’immedesimazione del lettore. Se una caratteristica fisica non serve alla narrazione, poi, puoi ometterla. Le descrizioni minuziose sono grottesche
  • Area sociale: da applicare anche nel linguaggio. Si usano registri diversi in ambienti diversi (es: professionale rispetto a uno informale rispetto a quello che si usa in famiglia) o all’interno di gruppi diversi (con gli amici, col partner…)
  • Psicologia: almeno abbozzata, che tipo è, difetti e virtù. Oppure si può rispondere a un test psicologico immedesimandosi nel personaggio per vedere la sua personalità, ad esempio http://www.16personalities.com/
  • Background, per dargli profondità ed evitare l’effetto “sagoma di cartone”. Crea alcuni momenti chiave della sua vita, anche se non verranno utilizzati nel romanzo. Scrivi la descrizione dettagliata di questi momenti che ha vissuto e che l’hanno influenzato, perché dice molto di quel personaggio (v. l’aneddoto del bagno e i poliziotti nelle Iene): uno per l’infanzia, uno per l’adolescenza, uno per l’età adulta

2. Gerarchia del personaggio:

  • Le comparse non hanno bisogno di una scheda dettagliata, vengono trattate come l’ambientazione
  • I personaggi secondari hanno una funzione ben definita nella storia o servono ad approfondire i personaggi principali. Solitamente sono monodimensionali, hanno un solo aspetto in genere molto caricato in modo da colpire l’attenzione (poiché il personaggio compare poco, deve colpire). Spesso servono a rendere più evidenti le caratteristiche dei personaggi principali, o per contrasto o per declinazione diversa rispetto a loro
  • I personaggi principali: il protagonista, l’antagonista, il coprotagonista e il coantagonista

3. Interazioni:

  • Tra protagonista e antagonista: è la tematica del romanzo. L’antagonista spesso viene creato di riflesso, perché colpisce il protagonista nel suo punto debole (es: il nemico di Renzo dei Promessi sposi è un nobile). Spesso gli antagonisti sono correlati ai protagonisti per molti aspetti tranne quello etico (es: negli X-Men Xavier e Magneto). In ogni caso, l’antagonista spesso è la metafora di un “lato oscuro” del protagonista. Per studiare la correlazione tra protagonista e antagonista si può immaginare un romanzo con un protagonista cattivo, o con un protagonista buono e un antagonista molto buono, perfetto

Una volta creata la scheda del personaggio con queste informazioni, quando si sente che il personaggio è fertile, quando si sente che può prendere decisioni, allora è pronto.

A volte le interrelazioni tra personaggi vengono rappresentate in uno schema: nei romanzi complessi per non perderle di vista, in quelli semplici per non rischiare di avere interrelazioni banali e evidenziare interrelazioni che potrebbero essere interessanti. Spesso le relazioni sono organizzate in triadi (Otello-Iago-Desdemona. Otello si fida di Iago, Iago odia Otello. Otello è geloso di Desdemona, Desdemona ama Otello. E nello schema viene rappresentata in maniera più sottile la relazione di Iago che è indifferente a Desdemona, e Desdemona che non si fida di Iago), e ogni triade è una linea di trama. Concentrarsi non solo sulla trama ma anche sulle interrelazioni può migliorare la tecnica di uno scrittore.

Scorciatoia per creare personaggi: “a due a due”, attraverso contrasti. Esempi di coppie utili:

  • Il risolutore e il dissolutore (tipico protagonista e antagonista)
  • Il mentore e il traditore (il primo è il saggio consigliere, consiglia bene il protagonista)
  • L’entusiasta e lo scettico (il primo incita il protagonista, il secondo lo frena)
  • L’emotivo e il razionale

 

Dialoghi

Vanno usati come strumento narrativo e sono composti da:

  • Cosa viene detto
  • Come viene detto (non solo la forma ma anche quali idee ha il personaggio)
  • I pensieri

Il dialogo spesso mostra la differenza tra chi scrive per piacere e il vero autore: il dilettante spesso non sa come gestire i dialoghi quindi ne scrive pochi, e descrive tutto. Attenzione però a non fare l’errore opposto: far andare avanti la trama per racconto anziché per eventi, altrimenti i personaggi diventano un secondo narratore. Il professionista invece sa come impostare il dialogo utilizzando tecniche drammaturgiche:

  • Stile: può essere diverso da quello della narrazione, a seconda di quale personaggio sta parlando. Oltre allo stile della voce narrante quindi va determinato lo stile dei personaggi
  • Verosimiglianza: il dialogo deve essere verosimile, nel contesto di ciò che sta accadendo nel romanzo
  • Si muove tra due poli: la registrazione totale di ciò che viene detto, e il completo artificio narrativo. Nel primo caso, se si ascoltano dialoghi reali, il linguaggio è solitamente molto informale, poco corretto, e a volte impossibile da usare in un romanzo per una serie di sottintesi che le persone sanno e non devono spiegare, senza contare i gesti, le pause ecc. Come esercizio, trascrivi le frasi altrui per vedere come costruiscono i loro dialoghi: tipicamente le frasi sono brevi, c’è un passaggio veloce di argomenti. Sottolinea certi elementi anche scombinando la frase. Puoi usare queste registrazioni per “sgrammaticare” il dialogo dei personaggi: ci saranno cose che dicono nel loro modo personale e caratteristico. Se invece ci si sposta al polo del completo artificio narrativo si otterrà l’effetto del “parla come un libro stampato”. In genere il dialogo nei romanzi è più vicino a un artificio letterario che alla registrazione totale di ciò che viene detto. Si dice che si usa una “strategia estrusiva”: la registrazione totale viene forzata attraverso l’artificio letterario in modo che non si noti il procedimento narrativo

Come scrivere quindi dialoghi efficaci? Il personaggio deve denotare il pensiero sotto il dialogo, e il dialogo deve essere solo la punta dell’iceberg. Buoni accorgimenti per un dialogo sono:

  • Essenzialità
  • Deve essere presupposto un obiettivo, cosciente o incosciente, per dare vita al dialogo. I dialoganti partono dalle loro idee iniziali e arrivano all’obiettivo, dove si incontrano e il dialogo finisce
  • Avere una organizzazione strutturale (che può essere anche un misto di vari tipi). Le principali (raramente incontrate allo stato puro, ma conoscere i tipi principali aiuta a capire le stratificazioni dei dialoghi) sono:
    • Polemica (evidente o sottile): la relazione iniziale è di eguaglianza e un personaggio vuole guadagnare una posizione. Si usa spesso per vivacizzare il dialogo, essendo una parte di storia priva di azione
    • Didattica: un personaggio conduce, gli altri gli riconoscono la gerarchia e fanno domande/riassumono. Si usa per fornire informazioni al lettore
    • Dialettica: collaborazione dei personaggi per stabilire la verità, simile alla struttura polemica ma in cui i personaggi sono d’accordo (gli interlocutori accettano di essere competenti su alcuni argomenti e non competenti su altri). Si usa per esprimere aspetti profondi della personalità dei personaggi

[Segue narratore e stile]

Come far piacere i personaggi e come coinvolgere il lettore

Fonte: Characters and viewpoints
Autore: Orson Scott Card
Categoria: Scrittura
Argomento: Personaggi

Un autore dovrebbe conoscere i propri personaggi meglio di quanto conosce sé stesso.
Per far vedere le caratteristiche di un personaggio andrebbe mostrato mentre fa un’azione (v. ad esempio l’inizio di Indiana Jones), poi vanno date le motivazioni di quell’azione. Questo è un aspetto importante: le motivazioni danno un valore morale e cambiano molto la percezione del lettore. I lettori leggono per capire perché la gente fa le cose, più che cosa fa. Un personaggio è ciò che vuole fare.

Dire qualcosa del passato di un personaggio può aiutare: siamo la somma ciò che abbiamo e ciò che ci è stato fatto. Oppure metterlo fuori dal suo habitat: come reagisce? Anche le abitudini neutre o negative ci caratterizzano. Così come i talenti e gli hobbies.

Quando iniziano un libro, i lettori vogliono credere in ciò che gli viene raccontato e innamorarsi dei personaggi. I lettori sono dalla parte dello scrittore. Ma questa luna di miele dura due pagine, il tempo di rispondere a queste domande:

  1. So what? Perché dovrei andare avanti a leggere? (se il tema è già visto, non c’è motivo)
  2. Oh yeah? Andiamo, non ci crede nessuno che qualcuno potrebbe comportarsi così
  3. Huh? Che succede, non capisco

Il personaggio deve convincere in primo luogo l’autore, che deve essere affamato di raccontarne la storia.
Perché il personaggio sta facendo ciò che sta facendo? Quale sarà il risultato? E meglio ancora: cosa può andar male? Se credi che il personaggio si potrebbe comportare così, perché? Magari ha una buona ragione.

Esercizi per creare personaggi

Per creare i personaggi  usare queste tre tecniche può fare la differenza:

  1. Un’esagerazione. Il personaggio deve avere un aspetto che lo rende unico, ma deve essere un aspetto che nessun altro autore avrebbe esagerato. L’esagerazione deve rendere interessante un particolare banale, ma senza strafare altrimenti il personaggio diventa poco credibile (una caricatura)
  2. “Do the twist”, volgi il tutto verso qualcosa di inaspettato
  3. Fare il terzo grado alle proprie idee. Perché? Che cosa l’ha causato? Per che motivo? A cosa può portare dopo? Le prime due idee saranno cliché, scartale, e poi continua a chiederti perché e a cosa porterà scartando i cliché

Esercizi per creare personaggi:

  • Se si ha una situazione per un libro ma non un personaggio basta chiedersi: chi ne soffrirà di più? Quello è un buon candidato a protagonista, perché è colui che più di tutti vuole risolvere il conflitto
  • Pensa alle persone che conosci. Per te il loro carattere è scontato, normale, ma per gli altri non è così. Poi inventa quello che non sai di loro e perché agisce, e spiega perché le sue motivazioni sono credibili
  • Osserva gli estranei e applica su di loro le 3 regole iniziali di creazione personaggi (esagera, do the twist, fai il terzo grado e scarta i cliché)
  • Analizza te stesso: cosa ti porta a fare certe cose? Modifica dalle tue memorie. E se non vengono in mente episodi, pensa a una parola: che episodio della tua vita ti richiama quella parola?
  • Pensa a che personaggi potrebbero essere presenti allargando il punto di vista, pensa a chi era presente nel passato di un personaggio, altrimenti i personaggi saranno piatti. Puoi far parlare/sparlare di un personaggio da chi lo conosce

Cosa coinvolge emotivamente il lettore:

  • Il dolore, ma non esagerare o il personaggio sembrerà debole, sfortunato o non credibile. Inoltre se il dolore a un personaggio principale viene descritto nel dettaglio e diventa troppo da sopportare, si perde il lettore perché non vuole identificarsi in un dolore eccessivo. Per rendere il dolore vero e tridimensionale – anche uno piccolo – può essere efficace mostrare le cause o gli effetti di un dolore
  • Far eseguire a un personaggio una scelta che porta a un sacrificio è uno strumento potente. Ma il sacrificio non deve essere stupido o inutilmente auto-imposto, o si ottiene l’effetto contrario
  • La minaccia di un dolore o un’attesa quando si hanno poche possibilità di scampo (ad esempio un bambino in pericolo è una scena potentissima per coinvolgere il lettore, v. Alien). Più forte la minaccia, più forte il dolore se accade
  • Sexual tension. Ma se si risolve in una scena di sesso positiva, il coinvolgimento emotivo del lettore finisce
  • Se ciò che viene chiesto al personaggio ha conseguenze globali maggiori del vincere/perdere privato. Può funzionare usare i portenti (anche molto ridotti, tipo una brezza, e funziona ancora meglio se i personaggi non li notano)

Come far piacere i personaggi:

  • Tramite una buona prima impressione (se la prima impressione è cattiva, è difficile da togliere)
  • Se sono simili ai lettori (target audience, o ad esempio evitare di descrivere può aiutare l’identificazione)
  • Se sono attraenti (il lettore odia i “belloni”, un personaggio attraente è diverso da un personaggio bello, dipende da come lo si descrive)
  • Se sono delle vittime della situazione (ma non devono essere percepiti come deboli o si ottiene l’effetto contrario. Devono avere dei motivi validi per essere vittime) o dei salvatori (contano gli intenti, poi va bene se falliscono)
  • Se si sacrificano (ma la causa deve essere giusta e non devono avere alternative, altrimenti verrà percepito come uno stupido spreco)
  • Se hanno uno scopo e non reagiscono solo agli eventi. Se si trovano lì per un motivo, se hanno bisogni, speranze e sogni. Meglio ancora se il sogno è grande e se si percepisce lo sforzo del personaggio per realizzarlo. Non funziona invece se è esageratamente romantico o naif, a meno di renderlo reale (rendere un sogno reale è lo strumento più forte per vincolare il lettore)
  • Se sono coraggiosi e usano fair play
  • Se hanno una attitudine interessante verso il mondo
  • Se si fanno avanti per un incarico rischioso senza però pubblicizzare la cosa, o se non fanno i presuntuosi e aspettano la chiamata che porta alla gloria
  • Se sono affidabili nel mantenere la parola
  • Non se sono intelligenti, ma bensì se sono “clever” (abili, scaltri), ancora meglio se lo sono senza che gli altri lo notino, il personaggio stesso non deve sapere di essere scaltro, anzi deve stupirsi dei buoni risultati
  • È molto importante aggiungere imperfezioni. Un personaggio perfetto risulterà odioso

Come far odiare i personaggi:

  • Se sono sadici e prepotenti, se gli piace causare dolore e (ricordalo) questo viene dall’amore per il potere
  • Se sono coinvolti in assassinii di indifesi per tornaconto personale
  • Se si auto invitano in ruoli che nessuno ha chiesto di assumere
  • Se rompono i giuramenti
  • Se sono degli “intelligentoni”
  • Se sono pazzi, e peggio ancora se convincono gli altri che la loro visione è quella corretta (ad esempio Hitler). Personaggi palesemente pazzi sono troppo banali, bisognerebbe concentrarsi su paranoie e illusioni
  • Se non sono autoironici
  • Se incolpano gli altri dei propri fallimenti e lodano sé stessi per i successi
  • Ricorda però che ognuno è l’eroe della propria storia e ha quindi bisogno di tratti positivi. Ognuno ama e crede in qualcosa (ma attenzione a non farlo diventare buono)

[Characters and Viewpoints dà anche consigli su come creare personaggi comici]

Come rendere i personaggi credibili:

  • Con dettagli numerosi, reali e specifici, magari contrastanti
  • I dettagli possono essere nidificati in modo che si credeva che il personaggio fosse in un certo modo, poi si scopre che invece ha un altro aspetto che lo fa cambiare agli occhi del lettore
  • Tenendo conto che sono il cuore della storia, che fanno cambiare tutto

Come scrivere un buon libro – Personaggi

Fonte: How to write a damn good novel
Autore: James N. Frey
Categoria: Scrittura
Argomento: Personaggi

  • I personaggi devono avere una dimensione fisiologica (un personaggio è influenzato dal suo essere grasso), sociologica (in che ambiente sono cresciuti) e psicologica (perché fanno le cose che fanno)
  • Devono essere più intensi delle persone reali. Devono essere delle tempeste emotive di fronte ai confilitti. Si potrebbe scrivere la biografia dei personaggi cercando gli ostacoli che hanno dovuto affrontare per arrivare dove sono ora
  • Bisogna trovare la loro passione dominante, e devono essere determinati. Se i personaggi fanno tutto ciò che ci si aspetta da loro sono degli stereotipi. La passione deve essere ben integrata nel loro carattere e nella storia, e se sono passioni negative devono avere risvolti positivi (non si vuole far odiare il personaggio. La passione negativa può essere dovuta a un trauma?)
  • I personaggi devono agire al massimo delle loro capacità (inclusa la loro capacità di evoluzione). L’autore dovrebbe pensare a come renderli ancora più ingegnosi/drammatici/sorprendenti/divertenti. Ma seguendo la regola “would he really…” (davvero farebbe…)

Ciò che muove i personaggi deve essere il conflitto. Come essi agiscono di fronte al conflitto è ciò che li caratterizza.

  • I personaggi hanno voleri opposti? I buoni antagonisti non devono essere cattivi, anzi più sono simili nei propositi ai protagonisti, più il conflitto potrebbe essere interessante. Dai agli antagonisti punti di vista logici e ragionevoli, e soprattutto credibili
  • Crucible: i motivi per restare devono essere più forti di quelli che spingano i personaggi ad abbandonare il conflitto
  • I conflitti interiori creano molta empatia con i lettori. Se un personaggio non ha conflitti interiori risulterà finto o antipatico. Il conflitto interiore conferma il coinvolgimento del personaggio
  • Impala i personaggi con dilemmi: i dilemmi funzionano quandi ci si accorge che i personaggi sono lacerati da forze opposte
  • Il conflitto deve evolvere, ma non senza motivazioni o step che lo facciano salire di colpo o senza motivo. Il conflitto che sale lentamente è il migliore: dall’inizio alla fine di una scena la situazione deve essere peggiorata, ma se questo non porta a un cambiamento il tutto diventa statico

I personaggi dovrebbero essere una delle componenti del libro che spingono i lettori a continuare a leggere, galvanizzandoli.

Stephen King – On Writing

Fonte: On Writing
Autore: Stephen King
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Introduzione

  • Quando SK ha lavorato per un vero giornale per la prima volta, l’editor gli ha detto: quando scrivi ti stai raccontando la storia; quando riscrivi togli tutto quello che non è storia. La prima volta è solo per te, la seconda per gli altri. Perché apparterrà a chiunque vorrà leggerla, o criticarla
  • Per SK la scrittura è migliore quando è intima – hai questa sensazione quando scrivi? È così interessante da essere intima come un contatto pelle a pelle?
  • Scrivendo il suo primo romanzo di successo, Carrie, SK capisce due cose: la percezione iniziale che ha uno scrittore di un personaggio può essere sbagliata quanto quella di un lettore. E: interrompere un lavoro perché difficile è una cattiva idea.
  • Più di un terzo del libro è composto da aneddoti sulla vita di SK, alcuni dei quali relativi alla sua vita da scrittore, altri che mi fanno pensare al “creare autorità con la regola del cuore” di Palahniuk. Conclude dicendo che l’arte supporta la vita dell’artista e non viceversa
  • La scrittura è telepatia, nello spazio e nel tempo. Se lui dice che c’è una gabbia con dentro un coniglio con una carota sotto una zampa e il numero 8 scritto in blu sulla schiena, tutti la vediamo. I dettagli potrebbero essere diversi, ad esempio il materiale della gabbia, ma è importante? Se mettiamo più dettagli non è prosa: è un manuale di istruzioni. E tutti stiamo guardando al numero 8, anche se lui non ci ha detto di farlo, anche se non siamo nella stessa stanza. Ma c’è un incontro delle nostre menti. È vera telepatia, nello spazio e nel tempo. Non prendete la scrittura alla leggera.

Le basi

  • Ogni scrittore dovrebbe avere una toolbox: al primo livello c’è il vocabolario, e non si deve fare nessuno sforzo per migliorarlo a parte leggere e scrivere: usa la prima parola che ti è venuta in mente se è la migliore per descrivere qualcosa. Lì c’è anche la grammatica (es: evitare verbi passivi e avverbi – inclusi quelli accanto a “disse”, che è meglio lasciare da solo e senza cercare un sinonimo. I sinonimi vengono dalla paura di non essere capiti, e la buona scrittura spesso arriva quando si lascia indietro la paura). Al secondo livello ci sono gli elementi dello stile (v. Strunk and White), inclusa la lunghezza dei paragrafi che danno il ritmo, o evitare parole inutili (tipo dire chi parla se è implicito). Questi tre elementi sono quelli fondamentali che si devono padroneggiare, poi c’è il livello dei propri strumenti.
  • Bisogna leggere tanto e scrivere tanto (SK consiglia 6 ore al giorno tra le 2 attività, ogni giorno), e i cattivi libri insegnano quanto i buoni. I buoni insegnano stile, narrazione, a sviluppare la trama, a creare personaggi credibili e a dire la verità.
  • La prima stesura dovrebbe essere fatta in non troppo tempo – circa tre mesi. SK scrive 2000 parole al giorno (10 pagine) è in questo modo in 3 mesi viene un libro da 180000 parole. Suggerisce di iniziare con 1000 parole al giorno, 2 giorni di pausa, e un posto dove si possa chiudere la porta e stare isolati finché si sono scritte le mille parole. Anche avere una routine tipo iniziare tutti i giorni alla stessa ora aiuta la mente al compito
  • Bisogna dire la verità quando si scrive, e il principio è: scrivi di ciò che conosci. Che vuol dire ad esempio scrivere del genere che si legge/ama: scrivere di ciò che va di moda o che fa soldi non funziona, la fiction serve a trovare la verità dentro la rete di bugie della storia, non a commettere disonestà intellettuale. Lo scrittore non ha controllo sul materiale, non sa se è buono – se no tutti scriverebbero solo best seller.

Sulla scrittura

  • I lettori sono attratti da una storia quando riconoscono le persone, i comportamenti, l’ambiente. Quando sentono un’eco nella loro vita e credenze – e non si può ricreare questa connessione in modo premeditato. Nel senso che si può imitare lo stile dei grandi, ma le sensazioni no, e la trama è lontanissima dalla verità percepita dalla mente e dal cuore quindi anche imitando la trama non si riusciranno a replicare le emozioni. Chi lo fa crea imitazioni over-calcolate. Scrivete di ciò che vi piace e rendetelo unico inserendo la vostra conoscenza della vita, amicizia, relazioni, sesso e lavoro. Specialmente lavoro – la gente ama leggere del lavoro per qualche strano motivo. Non lo usi per dare una lezione, ma per arricchire la storia. Vedi The Firm di John Grisham (un avvocato scopre di lavorare per la mafia e ha un dilemma tra morale e paga): il pubblico si è appassionato degli sforzi intraprendenti dell’avvocato per districarsi dal dilemma – non è come molta gente si comporta, ma è come molta gente vorrebbe comportarsi. JG non ha mai lavorato per la mafia – quella è pura invenzione, la delizia dello scrittore, ma è stato un avvocato e non ne ha dimenticato i grattacapi. Ricorda le trappole del mestiere, usa humor per bilanciare, e crea un mondo a cui è impossibile non credere. Ha spiato quella terra e ha portato indietro un resoconto preciso, dicendo la verità. Ciò che ha fatto Grisham grande è forse proprio la totale e quasi ingenua onestà. Non imitate il suo genere da avvocato nei guai, ma la sua apertura e inabilità a non andare dritto al punto. Ciò che conoscete vi rende unici – siate coraggiosi
  • SK crede che la trama si crei da sola e non vada pensata in anticipo, come non si può pensare in anticipo per la vita reale. Si deve creare un ambiente fertile e lasciarla svolgersi. Le storie sono parte di un mondo pre-esistente; la trama è meccanica e anti creativa. I libri sono basati su situazioni più che su storie – mettere i personaggi​ in una situazione e vedere come se ne districano. Magari ha in mente come va, ma lascia i personaggi guidare e spesso lo sorprendono – lui è solo il narratore (il DM?). E se non sai tu come procede, il lettore sarà ancora più curioso. Ci sono insomma due stili di scrittura diversi, uno dettato dalla situazione iniziale e uno dalla storia. Una situazione può articolarsi da sola da qualcosa di interessante. Le situazioni possono in genere essere espresse da “what if…”. Le informazioni usciranno solo se servono e non perché avete deciso che andava detto.
  • SK propone come esercizio quello di scrivere il continuo di una storia: un marito violento picchia la moglie, lei lo lascia, lui fa lo stalker, poi finisce in prigione. Un giorno lei torna a casa e sente che c’è qualcosa che non va ma non riesce a capire cosa. Vede al TG la notizia che tre persone sono evase dalla prigione e uno è riuscito a sfuggire alla cattura, e capisce che è il marito. Sente i passi sulle scale, sa che dovrebbe fuggire ma non riesce. Ora invertite i sessi dei personaggi e scrivete il resto. Se siete onesti su come parlano e si comportano, uscirà qualcosa di interessante e la sincerità fa passare sopra molti difetti
  • Le descrizioni fanno partecipare sensorialmente il lettore, ed è una capacità che si esercita scrivendo. Inizia visualizzando ciò che vuoi fare esperire al lettore. SK in genere non descrive i personaggi e cosa indossano, lascia fare ai lettori – ad esempio, di Carrie ci dice che è una ragazza emarginata delle superiori col guardaroba di una fashion victim – tutti ricordiamo un perdente a scuola, e se descrive il suo perdente esclude il nostro, toglie un po’ del legame della comprensione. La descrizione è fatta assieme: iniziata dallo scrittore e finita dal lettore. Trova i dettagli che stanno al tutto – spesso sono i primi cui si pensa. Richiama un’immagine nella mente e usa tutti i sensi: cosa sono le prime cose che ti colpiscono? Scrivile solo se servono alla storia, se no vanno tolte. Ricorda che non devi dire tutto subito, i lettori capiranno man mano
  • I dialoghi ci fanno capire qualcosa dei personaggi: ad esempio se sono furbi o no, se sono onesti o disonesti, se sono piacevoli o no, ecc. Devono essere scambi onesti, non soliloqui per passare informazioni. Quando sono fatti bene capiamo subito chi sono i personaggi e quasi abbiamo la stessa sensazione di chi sta origliando una discussione interessante. Si capisce che l’autore lavora duro e si diverte. Ascolta come parlano gli altri. Non spiegare mai un tratto di un personaggio se lo puoi mostrare un dialogo (e non basta che il personaggi si comporti in un determinato modo in un singolo dialogo, quella dev’essere la sua personalità sempre)
  • Creare personaggi segue un processo simile: fai attenzione a come le persone si comportano e racconta la verità di ciò che vedi. Come i personaggi progrediscono dipende da ciò che si scopre su di loro – a volte crescono poco, a volte molto e allora influenzano la storia anziché il contrario. SK parte da una situazione – ma crede sia un fallimento se la storia finisce con una situazione; le storie migliori riguardano le persone anziché gli eventi (ma nel corso del libro è la storia che comanda, non si fa studio di personaggi). E ogni personaggio dovrebbe avere l’atteggiamento da personaggio principale, come nella vita (niente “cattivi” o “migliori amici”). Se mostrando personaggi in azione si capisce chi siano è ottimo, e se si riesce a trasmettere un pizzico della loro visione del mondo, si può simpatizzare con loro – anche gli antagonisti. Ed è divertente per lo scrittore impersonare personaggi diversi. Es: The Dead Zone, il buono ha una visione in cui un politico inizia la terza guerra mondiale; decide quindi che per salvare il mondo deve ucciderlo. La differenza rispetto a un folle è che lui vede davvero il futuro… Un momento, non lo pensano tutti i folli? Quindi SK vuole che il protagonista sia un bravo ragazzo senza essere un santo, l’antagonista sgradevole e far paura al lettore tipo “non vedono cosa sta facendo?” Quindi ci presenta il protagonista che vuole chiedere alla sua ragazza di sposarlo e noi patteggiamo per lui, anche se poi sarà quello col fucile contro il presidente – una cosa che gli americani odiano. E vuole dipingere l’antagonista come qualcuno di pericoloso dalla prima scena: è minacciato da un cane, e quando è sicuro che nessuno è nei paraggi, gli spruzza spray negli occhi e lo prende a calci. I personaggi sono dettati dalla storia che vuole raccontare. Il lavoro dello scrittore è far agire i personaggi in modo che aiutino la storia a progredire. E se fate il vostro lavoro, inizieranno a prendere vita e far cose per conto loro. Sembra inquietante, ma vedrete che succede.
  • La caratterizzazione dei personaggi avviene attraverso l’aspetto, le azioni, il dialogo e le eccentricità
    • Aspetto: spiegalo tramite delle azioni, non descrivendolo, e comunque dai i tratti salienti, quello che colpisce, e lascia il resto al lettore
    • Azioni: dai degli esempi, e il lettore trarrà le sue conclusioni
    • Eccentricità: i lettori sono colpiti dalle eccentricità dei personaggi, se pensate ai personaggi che avete amato di più probabilmente avevano delle forti eccentricità. Ma devono restare credibili
    • Tratti opposti: nessun personaggio credibile è piatto, ad esempio se sono coraggiosi avranno dei dubbi. Quello che fanno è realistico o sono guidati da uno stereotipo?

Revisioni e tema

  • Di quanto visto fin qui, le idee chiave sono che la pratica è inestimabile e deve piacere, e l’onestà è indispensabile
  • Nella prima stesura SK fa il lavoro base di storytelling, poi cerca pattern nascosti (li trova quasi sempre) e li tira un po’ fuori: la seconda stesura è per simbolismi e tema. Non va forzato nella storia – va bene se è già lì e va solo tirato un po’ fuori, altrimenti pace. La storia non va toccata – l’unica cosa che ha a che fare con la storia è la storia stessa. E rispetto al tema, una volta che avete scritto tutto, fate una passeggiata e chiedetevi: perché vi siete sbattuti, perché ci avete speso tutto quel tempo, perché sembrava così importante? What’s it all about? Ogni libro riguarda qualcosa, e durante la prima stesura (se vi bloccate) o subito dopo dovreste chiedervi cosa riguarda il vostro. E nella seconda stesura, renderlo più chiaro. Questo potrebbe richiedere grossi lavori (es: in The Stand capisce che il tema è che la violenza è parte della natura umana). Non è una morale esplicita, ma se il tema è chiaro, i lettori potranno trovare la morale pensandoci o discutendone. Ogni scrittore ha alcuni interessi profondi (ossessioni?) che ama esplorare – per lui sono la difficoltà/impossibilità di chiudere il vaso di Pandora della tecnologia una volta aperto; se Dio è buono, perché il male; la linea sottile tra realtà e fantasia; le differenze tra adulti e bambini; il potere curativo dell’immaginazione; l’attrazione irresistibile che a volte la violenza esercita su persone generalmente buone. Non sono niente di che – solo i pensieri che lo tengono occupato quando spegne la luce. Ma non iniziare dal tema: quella è una ricetta per il disastro. La storia viene prima – ma poi dovete arricchire le stesure successive con le vostre conclusioni. Altrimenti togliete a voi e ai lettori della visione che rende ogni storia che scrivete unicamente vostra
  • Per le revisioni, SK fa due stesure e una “lucidata”, ma è una cosa personale. Nella prima scrive più veloce che può – altrimenti c’è tempo di dubitare, così invece scrive la storia così come viene. E la prima stesura è quella della storia, a porta chiusa, senza coinvolgere nessuno. Dopo la prima stesura SK scrive cose brevi per distrarsi, qualcosa di diverso, o comunque lascia la storia riposare finché se ne distacca (6 settimane?). Poi lo rilegge il più in fretta possibile correggendo le cose grossolane, tipo errori grammaticali o segnando grossi buchi di trama o grossi problemi di motivazioni dei personaggi per correggerli dopo (dice anche che la prima rilettura è riscoperta [se è così si è aspettato il tempo giusto] quindi è bello – è alla dodicesima che si inizia a odiare il manoscritto – e non mi torna con le 2+1 stesure). E intanto si chiede: la storia è coerente? E cosa può trasformare la coerenza in una melodia? Quali sono gli elementi ricorrenti? Si intrecciano in un tema? Lo scopo è creare una risonanza, ciò che resta al lettore dopo che ha finito il libro. Senza imboccarlo. Cerca cosa volevi dire. Dopo queste revisioni, SK lo fa leggere a 4-5 amici. In genere si pensa a un lettore ideale quando si scrive, e lui lo manda anche a 4-8 persone che hanno criticato i suoi libri in passato. Rispetto ai loro pareri poi, se sono discordi/pari, tieni quello che hai fatto, ma se tutti evidenziano un problema, ti conviene metterci mano. Avere il concetto di Ideal Reader aiuta a scrivere la storia per l’esterno anziché per noi stessi. È nell’inconscio durante la prima stesura, e una preoccupazione conscia nella seconda (questo libro è abbastanza pauroso?). Durante la revisione, “kill your darling” (seconda stesura = prima stesura – 10%). In sintesi:
    • Scrivi di getto
    • Lascia riposare il manoscritto per 6 settimane senza pensarci
    • Rileggi tutto d’un fiato, facendo annotazioni tipo avverbi da togliere, errori ecc
    • In questa rilettura-correzione pensa se è coerente, se è bello, se ci sono elementi ricorrenti, se hai creato risonanza, se c’è un tema, a cosa vuoi dire, e sistema quello che non va
    • Dai il manoscritto a 4-8 persone chiedendo un parere. Riceverai 4-8 pareri soggettivi. Se c’è una situazione di “parità”, ascolta il tuo parere
    • Fai una seconda rilettura eliminando il 10% del libro
  • La velocità con cui la storia si sviluppa può essere decisa dall’autore pensando al suo lettore ideale. Una parte è noiosa, o ha troppo dialogo, o hai spiegato troppo/troppo poco? E una volta che il lettore ideale avrà letto il libro potrai fargli queste domande. E magari vedere dove ha interrotto la lettura. Bisogna togliere tutto quello che è noioso
  • La back story è ciò che succede prima dell’inizio della narrazione e che ha un impatto sulla storia, aiuta a definire i personaggi e stabilire motivazioni. Va messa il prima possibile, ma con grazia. E sconsiglia i flashback a meno che si sia maestri di flashback. Se il lettore ideale non ha chiaro qualcosa può derivare da back story non chiare.
  • Anche la documentazione è back story, e va fatta, ma deve rimanere nel backstage, sentirsi e non essere sbandierata – ai lettori interessano personaggi e storia, non quello che avete imparato facendo ricerca. Occhio anche a non esagerare con la documentazione: se state scrivendo una storia di alieni e alcuni personaggi sono poliziotti, va fatta ricerca su come funziona la polizia, ma per dare verosimiglianza, non per trasformarlo in un manuale di procedure di polizia. La verosimiglianza è molto importante nel fantasy, e serve a correggere gli errori grossolani e aggiungere degli ottimi dettagli, ma la storia viene sempre prima
  • SK suggerisce anche di avere un agente, e dà un template per una lettera per trovarne uno a pagina 245

Frustrare i desideri dei personaggi

Fonte: Stein on writing
Autore: Sol Stein
Categoria: Scrittura
Argomento: Trama

I personaggi devono essere mossi da bisogni e voleri, e il ruolo dell’autore è quello di frustrarli. E più i desideri sono urgenti, più sono interessanti. Il desiderio deve essere:

  • Importante
  • Necessario
  • Urgente

Il personaggio deve avere un “clash of wants”, desideri contrastanti, e anche il lettore deve percepirli come contrastanti, importanti e credibili.
È più facile ad esempio identificarsi nelle seguenti situazioni:

  • Un amore perso/ottenuto
  • Raggiungere l’ambizione della propria vita
  • Fare giustizia
  • Salvare una vita
  • Vendetta
  • Fare qualcosa che sembrava impossibile

Per capire se un obiettivo può essere considerato importante si può pensare se può portare tristezza, ferite, morte, o se riguarda qualcosa che vale, o un’importante decisione di vita. L’ostacolo deve sembrare inevitabile e non causato da coincidenze. Deve riguardare la cosa più importante per il personaggio e magari sorprendere con una cosa che il lettore non si sarebbe aspettato.

Serve poi continuare a mantenere l’interesse, ad esempio sfruttando queste situazioni:

  • Il personaggio è forzato a stare con chi odia
  • Il personaggio prova imbarazzo
  • Viene sfruttata una paura del personaggio (meglio se una paura piccola!)
  • Succede un cambio nelle relazioni interpersonali
  • C’è una sorpresa, qualcosa di inatteso, un nuovo ostacolo, un cambio di circostanze

Queste situazioni inattese si possono inventare in un modo semplice: basta pensare, per ogni incidente, cosa dovrebbe capitare poi… e fare l’opposto.

Stein on writing – Personaggi

Fonte: Stein on writing
Autore: Sol Stein
Categoria: Scrittura
Argomento: Personaggi

C’è un libro intitolato “Characters make your story” che non dovete leggere perché nel titolo dice tutto quello che dovete sapere: characters make your story.

  • I lettori vogliono innamorarsi dei personaggi di un libro
  • I personaggi vanno caratterizzati con le azioni. Non fermarti a caratterizzare, non dire come sono: falli vedere parlare e agire. Puoi esagerare (pesava “2 tons naked”) o comparare (“he was tower of Pisa tall”)
  • Evita i cliché: per le donne sexy puoi parlare dei capelli, per gli uomini della voce
  • Pensa agli attributi fisici dei personaggi, ai vestiti o al modo di portarsi, agli attributi fisiologici o manierismi, alle azioni e ai dialoghi, alla postura e alle caratteristiche psicologiche
  • Tienili visuali, anche nelle descrizioni (“he walked against an unseen wind”). Dire “cammina per la stanza” è da scrittore pigro, fa che l’azione lo caratterizzi e che aiuti la storia (“se andavi in macchina con lei, le sue frasi erano lunghe 10 miglia”)
  • Evita personaggi con una volontà debole e antagonisti che si comportano in modo malvagio
  • I lettori vogliono personaggi assertivi che vogliono qualcosa, fortemente, e adesso

Per creare la caratterizzazione del personaggio pensa:

  • Si comporta in modo diverso in casa, fuori o con gli amici?
  • Parla alla gente in modo che altri potrebbero trovare offensivo? Poi si scusa?
  • Per cosa urlerebbe? Per cosa si reprimerebbe?
  • Usa metafore o espressioni particolari?
  • Cosa pensa di sé? Lo rivela con comportamenti abituali o tic?
  • Puoi usare un contrasto (ben vestito, e mette le dita nel naso)
  • Puoi sfruttare dei trucchi: pensalo lamentarsi/reclamare ad alta voce, immaginalo nei panni di un bambino, immaginalo da vecchio, provocalo in salotto, immaginalo nudo
  • Mettili in contesti che ti imbarazzino, ad esempio dove vengano evidenziate differenze socio-culturali

Ciò che rende un personaggio fuori dal comune è:

  • La personalità: avere caratteristiche speciali, il carisma, le eccentricità, il temperamento
  • La disposizione: verso gli altri o verso i posti, la predisposizione, il suo mind-set
  • Il temperamento: le sue reazioni, come si confronta col nuovo
  • L’individualità: i dettagli concreti che lo rendono lui
  • Le eccentricità: nei comportamenti, nei vestiti, nel parlare. Le eccentricità, in particolare, sono il cuore di una caratterizzazione forte
  • I nemici poi si possono caratterizzare con qualcosa di fisico che sia fastidioso, o a seconda di come si comportano con chi non conoscono.
  • Ai personaggi secondari invece si può affidare una singola caratteristica che li renda unici

Rispetto alla caratterizzazione dei personaggi, vanno caratterizzati senza “spiegare” le caratteristiche, ma mostrandole.
Per caratterizzare un personaggio possono essere utili i markers:

  • Una caratteristica distintiva
  • I modi di comportarsi (es: con i bambini)
  • I manierismi (es: si gratta)
  • Come mangia
  • Come parla (quali parole usa)
  • Come affronta i viaggi
  • Che azioni fa (quali fa spesso, es si lamenta al ristorante?)
  • Cosa ha influenzato la sua vita?
  • Cosa ha provato a cambiare di sé senza riuscirci?
  • Quale tradizione familiare ha avuto un’influenza positiva?