Vaporteppa e la narrativa fantastica


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FonteVaporteppa.it
Autore: Marco Carrara
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • La fantasia va coltivata. Leggere libri di ogni genere, guardare film fantastici di ogni nazionalità, leggere fumetti, giocare ai videogiochi per scoprire nuove esperienze narrative, imparare skill nella vita reale e approfondire gli argomenti più disparati – in generale, affrontare con mente aperta qualsiasi possibile fonte di stimoli e idee incontrata. Questi elementi sono i “mattoncini Lego” che si possono combinare per creare qualcosa di nuovo – è originale il modo in cui si combinano elementi già noti, il singolo elemento non è mai originale. Qualsiasi idea “originale” se scomposta in singoli elementi si riduce a cose già esistenti; non bisogna quindi temere di scoprire e usare elementi trovati in altri contesti, a patto che si ricombinino in qualcosa di originale. Si definisce originale chi prima arriva a combinare elementi noti in modo ancora non fatto.
  • La narrativa fantastica (o speculative fiction) utilizza il concetto del “what if?” e quindi dovrebbe avere natura speculativa, originale. Nella Fantascienza l’ipotesi è possibile, per quanto improbabile. Nel Fantasy si ipotizza che qualcosa di impossibile sia vero e si indagano le conseguenze. Questo prescinde dal periodo storico in cui è ambientato il fantasy – fantasy e medioevo è un binomio fossilizzatosi solo negli ultimi decenni. La verosimiglianza è particolarmente importante nella letteratura fantastica: il lettore continua a sospendere l’incredulità solo se tutti gli elementi non fantastici risultano credibili.
  • Ogni capitolo di un libro dovrebbe avere un obiettivo, e un conflitto in cui il protagonista cerca di raggiungere l’obiettivo. Alla fine l’obiettivo viene ottenuto ma si verifica qualcosa di inaspettato (e spiacevole, ad esempio la vittoria si ritorce contro il protagonista), oppure l’obiettivo non viene ottenuto e magari si aggiunge anche una ripercussione negativa. Per raggiungere l’obiettivo, il protagonista deve fare delle scelte (non deve essere un personaggio passivo), e più sono forti e chiare le conseguenze, più il lettore sarà “preoccupato” quando il personaggio prenderà una decisione. Se ogni personaggio prende in buona fede scelte sensate che causeranno danni ad altri personaggi con cui il lettore simpatizza, l’effetto di suspense sarà moltiplicato, in modo simile a ciò che accade nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin. La scelta del personaggio deve essere la scelta giusta, nel senso che il lettore deve riconoscere che il personaggio ha effettivamente compiuto la mossa migliore tra quelle a sua disposizione. E questo meccaniso funziona meglio non quando la scelta è banale (salvare qualcuno) ma quando i lettori vogliono che il personaggio faccia qualcosa che in genere è considerato negativo/amorale/criminale. In quel caso si è usata la propria retorica per mostrare al lettore come, date delle circostanze particolari, l’atto più scorretto può essere in realtà la migliore scelta possibile (il buono tortura un criminale perché si sa che è un pedofilo e si vuole che dica dove ha nascosto la sua vittima). La potenza retorica della narrativa concede poi di ribaltare le carte in tavola: dopo aver guidato con soddisfazione il lettore a desiderare e accettare il male, gli si sbatte in faccia l’errore.

Gamberi fantasy – regole di scrittura


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FonteGamberi Fantasy
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Nella narrativa di genere, “scrivere bene” significa adottare uno stile che sia trasparente per il lettore (al contrario della literary fiction in cui lo stile è più importante del contenuto) – questo perché vogliamo che il lettore sospenda l’incredulità e creda a ciò che legge, e se il lettore si accorge dello stile, allora si ricorda che sta leggendo un libro. L’autore vuole immergere il lettore in un altro mondo, e uno stile ricercato impedisce questo scopo.

I generi poi esistono per far sì che il rapporto tra autore e lettore sia chiaro (ad esempio la letteratura fantastica include fiaba, fantasy, fantascienza, horror soprannaturale – nel fantasy il fantastico non può essere spiegato in maniera scientifica; nella fantascienza sì; nell’horror è usato per spaventare il lettore. L’elemento fantastico deve essere un fulcro della narrazione, determinante, e non semplice sfondo. Gamberetta ha preparato uno schema dei sottogeneri della letteratura fantastica). Se il lettore vuole leggere un giallo e presentiamo il nostro libro come un giallo, ma in realtà si rivela poi un fantasy, il lettore resterà deluso.

Veniamo alle regole base che aiutano a raccontare belle storie:

Show, don’t tell: (si veda articolo dedicato) il lettore deve vedere cosa succede. “Laura uccise Mario” racconta, “Laura premette il grilletto e il proiettile portò via buona parte della scatola cranica di Mario” mostra. Raccontando, lo scrittore palesa la sua presenza allontanando il lettore dalla realtà virtuale della storia. Inoltre solo mostrando si fa presa sui ricordi e il lettore crede di essere presente alle vicende che succedono.
Se quello che vogliamo mostrare è noioso, meglio invece raccontarlo (“Laura prese un aereo e volò a New York” – è raccontato, ma è meglio che mostrare un volo in cui non succede nulla).

Scrivi di quel che sai: l’autore ha il compito di convincere il lettore che quello che legge non sono cretinate. Per riuscire in questa impresa l’autore deve calare l’elemento fantastico in un mondo verosimile e credibile. Tale mondo deve essere concreto tanto che il lettore lo possa accettare come realtà, elemento fantastico incluso (se questo particolare del mondo è così realistico e quest’altro particolare è così realistico, allora anche i draghi devono esistere). Un’accurata conoscenza degli argomenti dona alla narrazione un intreccio di particolari che fa credere che lo scrittore non stia raccontando favole, ma sia lì a filmare la storia. Questo significa che se volete parlare di cose che non conoscete (es: battaglie) dovete documentarvi – questa dovrebbe essere una questione d’orgoglio per presentare al pubblico un mondo preciso e curato dove ogni particolare è verosimile. Questo richiede parecchio impegno – il mestiere dello scrittore non è semplice.

Buttare il superfluo: lo scopo è raccontare una storia, tutto il resto non è degno di esistere. Parole, scene o personaggi che non aiutano lo svolgersi della storia devono sparire – anche se bellissimi. Per questo motivo in genere si consiglia di eliminare aggettivi e avverbi.

Scrivere in maniera semplice: il lettore deve capire cosa state scrivendo – forzare un linguaggio forbito (la “prosa raffinata”) rompe la sospensione di incredulità. La narrativa di genere vuole raccontare storie a tutti, non solo ai laureati in lettere antiche. Lo scrittore di genere è felice di essere capito sia dal professore cinquantenne che dal bambino di 10 anni, e scrivere semplice è più difficile che scrivere raffinato.

Struttura semplice: non vuol dire che la trama non debba essere complessa! Si parla di struttura. La struttura della storia deve essere semplice: ci deve essere una buonissima giustificazione per interrompere la narrazione e inserire un flashback. Strutture narrative complesse con sottotrame che si intersecano possono essere affascinanti, ma se la complessità è fine a sé stessa, il lettore è fuori dalla storia per ammirarla dall’esterno. Sottotrame, flashback e salti temporali devono esistere solo se rappresentano l’unica maniera per narrare la storia – meglio spostare indietro il punto scelto per iniziare la storia piuttosto che violare la linearità con mille flashback. Per un motivo analogo il prologo è spesso da evitarsi.

Evitare l’inforigurgito: l’inforigurgito, o infodump, è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. Sia perché l’autore si rende conto che certe informazioni sono necessarie per comprendere gli sviluppi della storia, sia – quel che è peggio – se l’autore crede che lo siano quando in realtà non lo sono. L’inforigurgito in genere si presenta in due forme: con l’intervento diretto dell’autore o con dialoghi o pensieri farlocchi.
Nel primo modo la narrazione è interrotta e l’autore sale in cattedra per insegnare al lettore – rompendo la sospensione di incredulità (es: “Laura sollevò la spada, pronta a tagliare la testa al coboldo, una razza goblinoide che si insediò duemila anni fa…”). Questo errore è spesso tipico degli scrittori che hanno passato ore a ideare un loro mondo e si convincono che l’ambientazione è bella in sé e vada mostrata. Non è così, mai, quello che conta è la storia. Il lettore in genere pensa “chissenefrega!” e se lo scrittore insiste, il lettore pianterà il libro: le informazioni in sé non sono interessanti, è come vengono integrate nella storia che le rende interessanti.
La seconda forma è il dialogo farlocco (es: “come saprai bene, i coboldi sono una razza goblinoide…”) in cui il dialogo è forzato e inverosimile, e rovina la credibilità della storia – i personaggi non spiegherebbero quelle cose in un mondo realistico.
La soluzione all’inforigurgito è mostrare: se è davvero vitale fornire quelle informazioni al lettore, si può mostrare la società cobolda in azione e il lettore ne ricaverà le informazioni necessarie. Rispetto ai dialoghi, si può usare l’inforigurgito in un dialogo solo se davvero i personaggi parlerebbero di quelle informazioni, ad esempio perché uno dei personaggi non ne è a conoscenza (evitando in questo modo il “come ben sai”).

I dialoghi: sono fondamentali per caratterizzare i personaggi (pensate alle persone che conoscete solo su internet: avete un’idea ben precisa di loro, eppure li conoscete solo tramite i loro dialoghi). Una trattazione completa di come scrivere un buon dialogo è stata affrontata in un altro capitolo, ma gli errori più comuni sono i seguenti:

  • Personaggi che parlano come un libro stampato, quando il re e il contadino si esprimono nello stesso modo. Persone che per background sono rozze o scurrili dovrebbero esprimersi in modo rozzo e scurrile
  • Personaggi che parlano come nella realtà: il dialogo deve essere verosimile, non vero (nel dialogo vero ci si interrompe spesso, non si finiscono le frasi, ci si parla addosso…). Il dialogo deve essere funzionale alla storia e filtrare il superfluo, lasciando solo la parte vitale per lo svolgersi della vicenda
  • Dialogo indiretto: quando si inserisce un dialogo indiretto (Laura disse che aveva fame) si sta raccontando e quindi infrangendo la regola dello Show don’t tell (vale comunque la regola della noia – se un dialogo è noioso ma necessario si può raccontare).

Saper gestire il punto di vista: la scelta di dove piazzare la “telecamera” della narrazione deve essere compiuta in base alle reazioni che si vogliono suscitare nel lettore, quindi occorre essere consapevoli di che effetto hanno le varie scelte. La telecamera può essere sulla spalla di un personaggio, dentro la sua testa, in un punto fisso, o muovere a seconda delle circostanze. Ecco gli errori più comuni:

  • È meglio evitare il narratore onnisciente, che può riprendere la vicenda da qualunque angolo, personaggio, tempo. Questo perché spesso il narratore finisce per essere visibile e quindi il lettore non crede più di trovarsi in un mondo nuovo, ma sa che un narratore gli sta raccontando una storia. Inoltre se il narratore onnisciente fa un’affermazione, questa diventa verità assoluta e contraddirla distruggerebbe la credibilità. Il narratore onnisciente non offre in genere vantaggi rispetto agli altri tipi, ed è invece pieno di rischi
  • La prima persona va usata con cautela – è più difficile che usare la terza persona. Innanzitutto c’è un ostacolo: con un narratore in prima persona è netta la sensazione che il protagonista stia raccontando. Non è grave come avere il narratore onnisciente a fare da barriera perché il narratore onnisciente si identifica con l’autore, ma è comunque un ostacolo [si veda sezione di Chuck Palahniuk in cui consiglia di far capire che la narrazione è in prima persona solo quando il lettore è già agganciato]. Per narrare in prima persona ci dovrebbe essere una ragione, non a caso i romanzi in prima persona hanno spesso una cornice che introduce la narrazione. L’altro problema riguarda lo stile: ogni parola, descrizione, scelta di ciò che si racconta è una caratterizzazione del personaggio narrante a cui va fatta attenzione. Questo può andare in conflitto col concetto di stile trasparente: la scelta dei termini non può più essere neutra e piegata solo a necessità di efficienza, ma deve tener conto dell’effetto che il narratore avrà sul lettore per il fatto di esprimersi in quel modo. Ad esempio nessuno ha niente da obiettare se un narratore in terza persona indugia a descrivere un cadavere, ma se a farlo è un narratore in prima persona, si avranno una serie di considerazioni sul personaggio. In genere bisogna avere esperienza e talento per saper maneggiare un narratore in prima persona
  • Cambiare punto di vista è traumatico perché richiede al lettore uno sforzo mentale per adeguarsi. Dunque a meno di ottime ragioni bisognerebbe evitare di cambiare il punto di vista durante una scena

Da ciò deriva che la scelta più semplice ed efficiente è in genere quella di usare la terza persona limitata: la telecamera è posta sulla spalla di un personaggio e può inquadrare solo quello che il personaggio vede, e in compenso non è vietato “inquadrare” di tanto in tanto anche ciò che il personaggio pensa – ma solo lui, solo il personaggio con la telecamera. Non cercate di essere originali a tutti i costi: l’originalità, nella narrativa di genere, è nella storia. Altrimenti il lettore sarà più interessato alla scelta stilistica che a appassionarsi alla vicenda.

I personaggi: l’autore deve conoscere i propri personaggi. Deve saperne vita, morte e miracoli ma, soprattutto, deve conoscerne le motivazioni. Perché un personaggio agisce in una certa maniera, quali sentimenti e ideali lo muovono, ciò dev’essere cristallino per l’autore. Data una certa situazione, i lettori devono poter essere in grado di prevedere le azioni dei personaggi, grazie al fatto che l’autore ha ben caratterizzato i personaggi. In genere è più importante avere chiaro il loro modo di pensare che il loro aspetto fisico.
Un personaggio deve agire – l’inazione è l’opposto della sua caratteristica di essere un personaggio. Un personaggio deve muovere la storia, avere un ruolo attivo, o non serve alla storia – peggio ancora se passa il tempo a lamentarsi. Il principio dell’agire determina quali personaggi estrarre dall’ambientazione per renderli protagonisti. Un buon consiglio è scegliere personaggi che soffrono: sono quelli che hanno motivazioni più forti ad agire. Per lo stesso motivo in genere si evitano personaggi troppo potenti: è raro che agiscano in prima persona, e se lo fanno spesso non sono credibili. Danno ordini che altri agiscono – questi altri sono buoni candidati personaggi.
Esiste la troppa caratterizzazione: il fulcro deve sempre essere la storia, per alcune storie non serve che il personaggio sia tormentato, con una personalità complessa e sfaccettata. Se un personaggio si appassiona più a Gulliver che ai suoi viaggi è un errore, e lo stesso vale per molti romanzi di Asimov.
Anche se l’autore può ispirarsi a amici e personaggi, questo giochino non deve essere palese, o ne patirà ancora la sospensione di incredulità.

Gamberi Fantasy: appunti di editing


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Fonte: fantasy.gamberi.org
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • Curate la grammatica, ma se scrivete dal punto di vista di un analfabeta/ritardato bisogna essere sgrammaticati
  • Attualmente si tende a eliminare le cosiddette “d” eufoniche e si mantiene la “d” solo se le due vocali sono uguali (“a ogni” e non “ad ogni”, ma “ed era” e non “e era”). Un’eccezione è “ad esempio”
  • Non scrivete paragrafi troppo lunghi – se cominciano a occupare più di mezza pagina, spezzateli. In particolare attenzione alle battute dei dialoghi: se non c’è nessuna pausa è come se il personaggio non si fermasse mai a respirare. Questo non vuol dire che vanno inserite pause a vuoto («bla bla bla bla.» Michele fece una pausa. «bla bla bla bla.»), ma fanno azioni (si sistemano gli occhiali, gesticolano ecc)
  • Esplicitate il soggetto se il soggetto implicito non è chiaro. Il soggetto implicito si usa quando il soggetto è lo stesso della frase precedente
  • Le ripetizioni non sono il male e spesso usare sinonimi può infastidire di più (come scrittori dovete scegliere la parola più efficace, e spesso un sinonimo non è la parola più efficace visto che i sinonimi hanno sfumature diverse)
  • Le espressioni che indicano una volontà del personaggio di compiere un’azione sono sempre pleonastiche (Michele salì le scale = Michele decise di salire le scale). Come scrittori dovreste essere eleganti nel non sprecare parole
  • Discorso analogo per “riuscire a”, “tentare di” ecc (Michele riuscì a parare il colpo = Michele parò il colpo)
  • Spesso sono pleonastici anche i verbi legati alle percezioni (Michele andò alla finestra e vide un cane correre in giardino = Michele andò alla finestra. Un cane correva in giardino). Se volete differenziare tra ciò che si vede e ciò che si osserva, basta che l’oggetto osservato abbia più dettagli
  • Siate netti. “Il tavolo era di una tonalità simile al rosso” non ha differenze nella percezione del lettore rispetto a “Il tavolo era rosso”. Il lettore non visualizza “quasi”, “piuttosto”, “circa”, e lo stesso vale per “sembra”. Non dite ciò che sembra, dite ciò che è
  • Eliminare anche i verbi legati ai pensieri (Michele pensò che fosse una bella giornata > Michele alzò il viso al sole splendente. Era una bella giornata)
  • Eliminare aggettivi/avverbi/termini astratti o generici. Camminando per strada potete vedere persone felici, arrabbiate, tristi. Ma nessuno ha un cartello appeso al collo che dice “felice”: sapete dire che è felice per ciò che fa. Uno scrittore deve mostrare, non raccontare, e quindi indicare le azioni che fanno capire perché è felice. Se le persone per strada non facessero azioni per indicare il loro stato d’animo ma avessero cartelli appesi al collo non sarebbero persone, ma manichini con un cartello che le definisce. Lo stesso vale per i vostri personaggi
  • Le descrizioni devono essere coerenti col punto di vista. Se un personaggio entra nella sua camera da letto non si dovrebbe descrivere nulla perché il personaggio non nota i particolari di una cosa che vede tutti i giorni – a meno che ci sia un motivo per notare qualcosa di specifico. Se si vuole descrivere la stanza bisogna essere furbi e far interagire il personaggio con l’ambiente
  • Nelle descrizioni poi, la qualità batte sempre la quantità. Meglio una città ben descritta che cinque generiche. Nel world building poi è in genere meglio passare dal particolare al generale che viceversa (i personaggi vedono ciò che hanno intorno, non l’intero pianeta/città). Raramente vi serve avere sottomano un intero pianeta, invece è vitale conoscere ogni dettaglio dei luoghi dove si svolgerà l’azione. Un soldato potrebbe non sapere indicare sulla mappa dove è stato mandato a combattere, ma saprà ogni particolare del campo di battaglia. Raccontare che gli dèi combattono da diecimila anni non ha niente di epico – è invece epico mostrare l’infinita distesa di macerie dove è caduto un fulmine divino. Il qui e ora è ciò che emoziona
  • Nelle scene d’azione, particolarmente quelle violente, usare descrizioni generiche non funziona (Michele e Anna si affrontarono in un furibondo dimenarsi di spade, in un balletto di affondi e parate). Guardate il vostro duello preferito in un film: ciò che è affascinante è la precisa coreografia che è stata studiata. Immaginate le singole mosse e descrivetele, o sarà come dire al lettore “Senti, io mi sono stufato di pensare, inventati tu come si svolge il duello”. Ma attenzione a non diventare inverosimili e non far accadere cose che in un duello non succederebbero mai (personaggi che si aggrappano al lampadario ecc). E ricordate che nelle scene d’azione non c’è in genere spazio per fare altro oltre a agire (in genere non c’è spazio nemmeno per pensare)
  • Se il vostro personaggio punto di vista sperimenta la tachipsichia (o bullet time, cioè quando in particolari situazioni di stress si sperimenta un’accresciuta acutezza dei sensi, tanto da notare tutta una serie di particolari in un tempo brevissimo) non scrivete che “il tempo rallentò” o “il tempo sembrò fermarsi”, ma mostrate come il personaggio percepisce l’ambiente con insolita precisione
  • Fate soffrire i personaggi. Inserite conflitti dove potete. Spesso gli autori limitano inconsciamente il conflitto (un personaggio vuole aiutare la fidanzata in un giorno di lavoro e la cosa non sarebbe un problema perché può prendere ferie. Meglio se proprio quel giorno ha un’importante scadenza: il lettore seguirà con maggiore partecipazione)
  • Uno scrittore ha spesso svariate idee tutti i giorni. Ma è come vengono messe insieme e come vengono scritte che in genere fa la differenza. Inoltre tutte le idee hanno pari dignità: da chi scrive un romanzo fantasy come metafora del razzismo a chi scrive un romanzo fantasy per comunicare situazioni fantasiose.

Gamberi Fantasy: descrizioni e dialoghi


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Fonte: fantasy.gamberi.org
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Come creare buone descrizioni

  • Inserisci lo scorrere del tempo, non esistono due istanti uguali
  • I dettagli devono essere funzionali alla storia, se un personaggio ha una certa ragione per ntoare le cose punta a quello nella descrizione
  • “Michele è troppo vecchio e stanco per correre alla fermata” è meglio di “ha una novantina d’anni”
  • Serve produrre molta documentazione… ma deve stare dietro le quinte, non bisogna voler mostrare al lettore quanto ci si è documentati o la descrizione diventa pedante e statica, con dettagli inutili che sono solo pesanti
  • Mantenere il punto di vista, anche nelle descrizioni. Se una descrizione viene descritta mentre la telecamera è sulla spalla di un personaggio, va mantenuto il suo punto di vista. Si capisce subito quando un personaggio parla con una voce non sua, e a quel punto la suspension of disbelief si incrina
  • I dettagli devono essere concreti, stimolare i sensi e usare il linguaggio del personaggio, che vuol dire documentarsi su ciò che il personaggio conosce
  • Se la descrizione è complessa si possono usare metafore, ma attenzione a non strafare
  • Errori comuni: non ci sono immagini, non ci sono suoni, non ci sono sensazioni, solo aggettivi appiccicati (e ancora peggio se sono astratti)
  • Esempi: “Agatha è indipendente e determinata” è un errore, andrebbe mostrato che Agatha si prende cura della sorella malata e vive da sola.
    Verrà da dire “ma io devo dire che c’è stata una guerra atomica, vero?” – No. L’autore deve mostrare i palazzi distrutti, i mutanti per le radiazioni. Il lettore capirà da solo che c’è stata una guerra atomica. In questo senso le descrizioni devono essere funzionali alla storia

Come creare buoni dialoghi

  • Nella prima stesura non seguire i consigli dei buoni dialoghi, o sembreranno finti. Verranno milgiorati nelle stesure successive
  • Lascia evolvere il dialogo. Se va in una direzione che modifica la trama, fidati del dialogo, non della trama (questo succede perché conosci bene il personaggio e non fidarsi vorrebbe dire introdurre forzature). Se la direzione è sbagliata, allora devi cambiare le condizioni iniziali e riscrivere, non cambiare il dialogo
  • Sii schizofrenico: entra nella testa del personaggio, anche nelle sue sensazioni. E parla come lui
  • Il dialogo deve essere dinamico, deve essere calato in un contesto, ci devono essere elementi esterni. Essi sono come il rumore di fondo nella vita reale: se tutto si fermasse, qualcosa stonerebbe. Lo stesso nella narrativa, se lo sfondo resta immobile il lettore è infastidito (anche se magari non capisce perché). Il mondo si può fermare solo per poche battute, poi qualcosa deve succedere
  • Ma non deve essere interrotto continuamente. Lo stesso vale per i pensieri: possono inserirsi in un dialogo, ma non continuamente. E devono essere concreti (un personaggio non deve pensare alla morte in astratto, ma a quel giorno in cui seppellì il suo cagnolino)
  • Un dialogo ha senso se è significativo per la trama e se mette di fronte personaggi con obiettivi diversi. Ci deve essere uno scontro, un desiderio di prevalere sull’altro, o il dialogo sarà noioso
  • In un dialogo lineare il collegamento tra le battute è diretto, ma spesso i dialoghi che funzionano meglio sono quelli obliqui (“che ore sono?” – “dovresti riaccompagnarmi a casa”) o disconnessi (“che ore sono?” – “guarda, sei proprio un cretino”). Gli ultimi due modi creano più tensione, ma attenzione a non abusarne o i dialoghi non saranno più verosimili

Ci sono alcuni difetti che intaccano la verosimiglianza di un dialogo:

  • Tutti i personaggi hanno la stessa voce. Ogni personaggio deve avere una voce distinta, e ci arrivi conoscendo molto bene i personaggi (ad esempio un personaggio che è convinto di avere sempre ragione non userà il congiuntivo o locuzioni come “credo…”)
  • I personaggi parlano al lettore anziché tra loro
  • Il dialogo è sempre politicaly correct. Se un personaggio è razzista, deve dire “negro di merda”, non “extracomunitario”. Non bisogna aver paura di passare per razzisti: chi prende le idee di un personaggio per quelle di un autore è un idiota al pari di chi crede che un attore la pensa come un personaggio che interpreta
  • I personaggi parlano con la voce dell’autore

Il dialogo può essere usato per:

  • Accelerare il ritmo (perché contengono meno parole, inoltre una descrizione non ha conflitto mentre un buon dialogo sì)
  • Rallentare il ritmo (un dialogo è più lento di una scena d’azione)
  • Descrivere – ma attenzione che non si percepisca la forzatura del personaggio che aiuta l’autore

Errori comuni degli scrittori


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Fonte: fantasy.gamberi.org
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

  • Il fatto che il difetto fatale dell’antagonista sia di essere troppo sicuro di sé (cliché)
  • Non documentarsi
  • Raccontare anziché mostrare
  • Impreziosire lo stile (narrativa di genere)
  • Non suscitare curiosità (in particolar modo nell’incipit)
  • Show don’t tell (di nuovo, sì. Non dire “Laura è ansiosa” ma “Laura si mangia le unghie”. Pensa ai film: non spiegano queste cose, le mostrano)
  • Raccontare il superfluo, anche se bello. Usare aggettivi e avverbi
  • Avere un intreccio non lineare senza motivo
  • Inforigurgito (sia diretto, sia dialogato… ancora peggio se le informazioni non sono necessarie! Se le informazioni sono necessarie, di nuovo, mostrale, non raccontarle)
  • Tutti i personaggi parlano allo stesso comodo, o come un libro stampato
  • Il punto di vista si sposta all’interno dello stesso paragrafo
  • La trama è una banale quest fantasy, stereotipata
  • L’autore non cerca di smontare ogni singola scelta. Bisogna cercare di smontare il proprio libro, renderlo a prova di bomba (perché il cattivo non conquista tutto?)
  • Inutili descrizioni paesaggistiche
  • Spostare la “telecamera” sulle spalle di diversi personaggi. La telecamera è una, tienila fissa e descrivi
  • Far succedere cose improbabili a causa di lacune di precisione. Ficcati nella mente quello che succede e descrivilo
  • Non tener conto del perché delle cose (sia le regole fisiche, sia nelle scelte dei personaggi)
  • Far sorbire al lettore le proprie masturbazioni mentali (ad esempio l’amore per l’ambiente)
  • Scrivere per sé stessi e non per far sognare i lettori
  • Inserire aggettivi/avverbi/possessivi che non cambiano il senso della frase (sono spesso sinonimo di racconto, meglio spiegare mostrando)
  • Usare sostantivi diversi per descrivere lo stesso personaggio per evitare le ripetizioni. I nomi diventano trasparenti al lettore dopo un po’, e più chiari di giri di parole
  • Non catturare il lettore nelle prime due pagine
  • Creare pretestuosi pupazzi nelle mani di uno cui scappa di fare filosofia (per tenersi lontani da questo errore si può evitare di scrivere di sé, o di intuizioni fondamentali)
  • Creare un deus ex machina senza averne parlato prima
  • Non far uscire la personalità dai dialoghi
  • Non usare “disse”. In primo luogo perché è invisibile al lettore quindi è bene usarlo, inoltre perché come una cosa viene detta si deve capire spiegando la situazione: il lettore a quel punto capirà da sé se il personaggio è arrabbiato, spaventato, commosso…
  • Le tre regole base dello stile possono essere: semplice e chiaro; scartare il superfluo; mostrare e non raccontare. E ricorda che il primo milione di parole sono un esercizio. Non perdere troppo tempo né sulle critiche, né sui complimenti, piuttosto continua a esercitarti

Gamberetta: Show don’t tell


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Fonte: fantasy.gamberi.org
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Perché è necessario mostrare anziché raccontare: perché se al cinema spunta il regista con un cartello “Michele è vecchio”, è ridicolo. Non rendetevi ridicoli, non svegliate chi sogna.

  • Il mostrare è utile per scegliere solo i particolari utili alla storia. Ad esempio, se serve ai fini della storia che un personaggio ci veda male, ha senso mostrare gli occhiali spessi
  • La vicenda deve sembrare vera, non va raccontato che è vera, non basta a renderla vera. La vecchiaia dipende da particolari concreti, non dal ripetere che un personaggio è vecchio
  • Il mostrare particolari dà verosimiglianza al racconto con prove tangibili, per separare le storie dalle stronzate

Come capire quando si sta usando il raccontare invece del mostrare:

  • Si sta raccontando quando vengono usati termini astratti e generici, ad esempio “era alto”. Meglio mostrare una scena in cui il personaggio piega la testa per passare, e ripeterlo 3 volte in 3 episodi diversi per renderlo vero
  • Quando ci sono avverbi: meglio sostituirli con termini più specifici
  • Pochissimi aggettivi sono concreti e specifici (rosso, umido, ruvido), se un aggettivo è importante per la storia va mostrato, altrimenti si deve togliere
  • “Provò a”, “tentò di”, “(non) riuscì a”, “cercò di” sono tutti esempi di raccontato: l’autore decente mostra invece le dita sudate che scivolano sulla maniglia o la maniglia che gira a vuoto
  • È raccontato quando si legge il battito artificiale del tempo (prima, dopo, poi, in seguito, improvvisamente, al momento, pochi istanti). È il narratore in questo caso a ordinare gli eventi, il tempo reale invece è scandito dalle azioni. Se vuoi rendere una pausa, mostrala con un’azione
  • Appartengono alla sfera del raccontato termini come “pressappoco, quasi, circa, piuttosto”. Appartengono a un narratore timido: il cervello non distingue da “rosso” a “quasi rosso”. Ha un motivo per la storia? Allora va mostrato in modo specifico. Stesso discorso per “una specie”, “una sorta”. Non esprimere giudizi: mostra, sarà il lettore a decidere.
  • Si sbaglia anche quando ci si vergogna dei giudizi dei lettori (“ho messo nella storia una scatola rosa, penseranno che sono frivolo. Scrivo graziosa”). Bisogna fregarsene dei giudizi.

Invece si può raccontare se considerando il punto di vista è più naturale raccontare, o se si vogliono riassumere fatti noiosi ma necessari. Però questa pratica va ridotta al minimo: se Indiana Jones sfugge ai nazisti e salta sull’aereo e nella scena dopo scende a New York, nessuno avrà problemi a ricostruire cosa è successo.