Gamberi fantasy – regole di scrittura

FonteGamberi Fantasy
Autore: Gamberetta
Categoria: Scrittura
Argomento: Regole

Nella narrativa di genere, “scrivere bene” significa adottare uno stile che sia trasparente per il lettore (al contrario della literary fiction in cui lo stile è più importante del contenuto) – questo perché vogliamo che il lettore sospenda l’incredulità e creda a ciò che legge, e se il lettore si accorge dello stile, allora si ricorda che sta leggendo un libro. L’autore vuole immergere il lettore in un altro mondo, e uno stile ricercato impedisce questo scopo.

I generi poi esistono per far sì che il rapporto tra autore e lettore sia chiaro (ad esempio la letteratura fantastica include fiaba, fantasy, fantascienza, horror soprannaturale – nel fantasy il fantastico non può essere spiegato in maniera scientifica; nella fantascienza sì; nell’horror è usato per spaventare il lettore. L’elemento fantastico deve essere un fulcro della narrazione, determinante, e non semplice sfondo. Gamberetta ha preparato uno schema dei sottogeneri della letteratura fantastica). Se il lettore vuole leggere un giallo e presentiamo il nostro libro come un giallo, ma in realtà si rivela poi un fantasy, il lettore resterà deluso.

Veniamo alle regole base che aiutano a raccontare belle storie:

Show, don’t tell: (si veda articolo dedicato) il lettore deve vedere cosa succede. “Laura uccise Mario” racconta, “Laura premette il grilletto e il proiettile portò via buona parte della scatola cranica di Mario” mostra. Raccontando, lo scrittore palesa la sua presenza allontanando il lettore dalla realtà virtuale della storia. Inoltre solo mostrando si fa presa sui ricordi e il lettore crede di essere presente alle vicende che succedono.
Se quello che vogliamo mostrare è noioso, meglio invece raccontarlo (“Laura prese un aereo e volò a New York” – è raccontato, ma è meglio che mostrare un volo in cui non succede nulla).

Scrivi di quel che sai: l’autore ha il compito di convincere il lettore che quello che legge non sono cretinate. Per riuscire in questa impresa l’autore deve calare l’elemento fantastico in un mondo verosimile e credibile. Tale mondo deve essere concreto tanto che il lettore lo possa accettare come realtà, elemento fantastico incluso (se questo particolare del mondo è così realistico e quest’altro particolare è così realistico, allora anche i draghi devono esistere). Un’accurata conoscenza degli argomenti dona alla narrazione un intreccio di particolari che fa credere che lo scrittore non stia raccontando favole, ma sia lì a filmare la storia. Questo significa che se volete parlare di cose che non conoscete (es: battaglie) dovete documentarvi – questa dovrebbe essere una questione d’orgoglio per presentare al pubblico un mondo preciso e curato dove ogni particolare è verosimile. Questo richiede parecchio impegno – il mestiere dello scrittore non è semplice.

Buttare il superfluo: lo scopo è raccontare una storia, tutto il resto non è degno di esistere. Parole, scene o personaggi che non aiutano lo svolgersi della storia devono sparire – anche se bellissimi. Per questo motivo in genere si consiglia di eliminare aggettivi e avverbi.

Scrivere in maniera semplice: il lettore deve capire cosa state scrivendo – forzare un linguaggio forbito (la “prosa raffinata”) rompe la sospensione di incredulità. La narrativa di genere vuole raccontare storie a tutti, non solo ai laureati in lettere antiche. Lo scrittore di genere è felice di essere capito sia dal professore cinquantenne che dal bambino di 10 anni, e scrivere semplice è più difficile che scrivere raffinato.

Struttura semplice: non vuol dire che la trama non debba essere complessa! Si parla di struttura. La struttura della storia deve essere semplice: ci deve essere una buonissima giustificazione per interrompere la narrazione e inserire un flashback. Strutture narrative complesse con sottotrame che si intersecano possono essere affascinanti, ma se la complessità è fine a sé stessa, il lettore è fuori dalla storia per ammirarla dall’esterno. Sottotrame, flashback e salti temporali devono esistere solo se rappresentano l’unica maniera per narrare la storia – meglio spostare indietro il punto scelto per iniziare la storia piuttosto che violare la linearità con mille flashback. Per un motivo analogo il prologo è spesso da evitarsi.

Evitare l’inforigurgito: l’inforigurgito, o infodump, è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. Sia perché l’autore si rende conto che certe informazioni sono necessarie per comprendere gli sviluppi della storia, sia – quel che è peggio – se l’autore crede che lo siano quando in realtà non lo sono. L’inforigurgito in genere si presenta in due forme: con l’intervento diretto dell’autore o con dialoghi o pensieri farlocchi.
Nel primo modo la narrazione è interrotta e l’autore sale in cattedra per insegnare al lettore – rompendo la sospensione di incredulità (es: “Laura sollevò la spada, pronta a tagliare la testa al coboldo, una razza goblinoide che si insediò duemila anni fa…”). Questo errore è spesso tipico degli scrittori che hanno passato ore a ideare un loro mondo e si convincono che l’ambientazione è bella in sé e vada mostrata. Non è così, mai, quello che conta è la storia. Il lettore in genere pensa “chissenefrega!” e se lo scrittore insiste, il lettore pianterà il libro: le informazioni in sé non sono interessanti, è come vengono integrate nella storia che le rende interessanti.
La seconda forma è il dialogo farlocco (es: “come saprai bene, i coboldi sono una razza goblinoide…”) in cui il dialogo è forzato e inverosimile, e rovina la credibilità della storia – i personaggi non spiegherebbero quelle cose in un mondo realistico.
La soluzione all’inforigurgito è mostrare: se è davvero vitale fornire quelle informazioni al lettore, si può mostrare la società cobolda in azione e il lettore ne ricaverà le informazioni necessarie. Rispetto ai dialoghi, si può usare l’inforigurgito in un dialogo solo se davvero i personaggi parlerebbero di quelle informazioni, ad esempio perché uno dei personaggi non ne è a conoscenza (evitando in questo modo il “come ben sai”).

I dialoghi: sono fondamentali per caratterizzare i personaggi (pensate alle persone che conoscete solo su internet: avete un’idea ben precisa di loro, eppure li conoscete solo tramite i loro dialoghi). Una trattazione completa di come scrivere un buon dialogo è stata affrontata in un altro capitolo, ma gli errori più comuni sono i seguenti:

  • Personaggi che parlano come un libro stampato, quando il re e il contadino si esprimono nello stesso modo. Persone che per background sono rozze o scurrili dovrebbero esprimersi in modo rozzo e scurrile
  • Personaggi che parlano come nella realtà: il dialogo deve essere verosimile, non vero (nel dialogo vero ci si interrompe spesso, non si finiscono le frasi, ci si parla addosso…). Il dialogo deve essere funzionale alla storia e filtrare il superfluo, lasciando solo la parte vitale per lo svolgersi della vicenda
  • Dialogo indiretto: quando si inserisce un dialogo indiretto (Laura disse che aveva fame) si sta raccontando e quindi infrangendo la regola dello Show don’t tell (vale comunque la regola della noia – se un dialogo è noioso ma necessario si può raccontare).

Saper gestire il punto di vista: la scelta di dove piazzare la “telecamera” della narrazione deve essere compiuta in base alle reazioni che si vogliono suscitare nel lettore, quindi occorre essere consapevoli di che effetto hanno le varie scelte. La telecamera può essere sulla spalla di un personaggio, dentro la sua testa, in un punto fisso, o muovere a seconda delle circostanze. Ecco gli errori più comuni:

  • È meglio evitare il narratore onnisciente, che può riprendere la vicenda da qualunque angolo, personaggio, tempo. Questo perché spesso il narratore finisce per essere visibile e quindi il lettore non crede più di trovarsi in un mondo nuovo, ma sa che un narratore gli sta raccontando una storia. Inoltre se il narratore onnisciente fa un’affermazione, questa diventa verità assoluta e contraddirla distruggerebbe la credibilità. Il narratore onnisciente non offre in genere vantaggi rispetto agli altri tipi, ed è invece pieno di rischi
  • La prima persona va usata con cautela – è più difficile che usare la terza persona. Innanzitutto c’è un ostacolo: con un narratore in prima persona è netta la sensazione che il protagonista stia raccontando. Non è grave come avere il narratore onnisciente a fare da barriera perché il narratore onnisciente si identifica con l’autore, ma è comunque un ostacolo [si veda sezione di Chuck Palahniuk in cui consiglia di far capire che la narrazione è in prima persona solo quando il lettore è già agganciato]. Per narrare in prima persona ci dovrebbe essere una ragione, non a caso i romanzi in prima persona hanno spesso una cornice che introduce la narrazione. L’altro problema riguarda lo stile: ogni parola, descrizione, scelta di ciò che si racconta è una caratterizzazione del personaggio narrante a cui va fatta attenzione. Questo può andare in conflitto col concetto di stile trasparente: la scelta dei termini non può più essere neutra e piegata solo a necessità di efficienza, ma deve tener conto dell’effetto che il narratore avrà sul lettore per il fatto di esprimersi in quel modo. Ad esempio nessuno ha niente da obiettare se un narratore in terza persona indugia a descrivere un cadavere, ma se a farlo è un narratore in prima persona, si avranno una serie di considerazioni sul personaggio. In genere bisogna avere esperienza e talento per saper maneggiare un narratore in prima persona
  • Cambiare punto di vista è traumatico perché richiede al lettore uno sforzo mentale per adeguarsi. Dunque a meno di ottime ragioni bisognerebbe evitare di cambiare il punto di vista durante una scena

Da ciò deriva che la scelta più semplice ed efficiente è in genere quella di usare la terza persona limitata: la telecamera è posta sulla spalla di un personaggio e può inquadrare solo quello che il personaggio vede, e in compenso non è vietato “inquadrare” di tanto in tanto anche ciò che il personaggio pensa – ma solo lui, solo il personaggio con la telecamera. Non cercate di essere originali a tutti i costi: l’originalità, nella narrativa di genere, è nella storia. Altrimenti il lettore sarà più interessato alla scelta stilistica che a appassionarsi alla vicenda.

I personaggi: l’autore deve conoscere i propri personaggi. Deve saperne vita, morte e miracoli ma, soprattutto, deve conoscerne le motivazioni. Perché un personaggio agisce in una certa maniera, quali sentimenti e ideali lo muovono, ciò dev’essere cristallino per l’autore. Data una certa situazione, i lettori devono poter essere in grado di prevedere le azioni dei personaggi, grazie al fatto che l’autore ha ben caratterizzato i personaggi. In genere è più importante avere chiaro il loro modo di pensare che il loro aspetto fisico.
Un personaggio deve agire – l’inazione è l’opposto della sua caratteristica di essere un personaggio. Un personaggio deve muovere la storia, avere un ruolo attivo, o non serve alla storia – peggio ancora se passa il tempo a lamentarsi. Il principio dell’agire determina quali personaggi estrarre dall’ambientazione per renderli protagonisti. Un buon consiglio è scegliere personaggi che soffrono: sono quelli che hanno motivazioni più forti ad agire. Per lo stesso motivo in genere si evitano personaggi troppo potenti: è raro che agiscano in prima persona, e se lo fanno spesso non sono credibili. Danno ordini che altri agiscono – questi altri sono buoni candidati personaggi.
Esiste la troppa caratterizzazione: il fulcro deve sempre essere la storia, per alcune storie non serve che il personaggio sia tormentato, con una personalità complessa e sfaccettata. Se un personaggio si appassiona più a Gulliver che ai suoi viaggi è un errore, e lo stesso vale per molti romanzi di Asimov.
Anche se l’autore può ispirarsi a amici e personaggi, questo giochino non deve essere palese, o ne patirà ancora la sospensione di incredulità.

Corso di scrittura creativa: narratore e stile

Fonte: Corso di scrittura creativa
Autore: Alessandro Manitto
Categoria: Scrittura
Argomento: Impostazione

Narratore

  1. Narratore onnisciente: è il demiurgo che può entrare nelle menti di tutti, esterno. Come nel racconto orale, la sua personalità non è estranea alla storia, può fare commenti diretti. Può essere considerato un personaggio, infatti può avere un carattere diverso da quello dell’autore, ad esempio può essere estroverso o meno, ma comunque resta extradiegetico (al di fuori della narrazione). Oggi non è molto usato perché questo narratore crea un filtro tra il lettore e la storia (es: I promessi sposi). Solitamente questo narratore usa il passato remoto. La difficoltà maggiore che porta questo narratore è che spesso rende la narrazione fredda e distanziante, per cui solitamente si adotta il secondo tipo
  2. Punto di vista singolo: può essere quello di un personaggio che ha vissuto l’esperienza e la racconta, o mentre la sta vivendo. Il vantaggio di vedere attraverso gli occhi di un personaggio è che tutto è più coinvolgente, ma si perdono le situazioni favorevoli di sapere altri fatti che succedono ad altri personaggi. Una nota rispetto alle cose coinvolgenti/a effetto: occorre dosarle. Usare più cose a effetto per colpire di più non funziona: è l’armonia a colpire
  3. Interno singolo in terza persona: è un narratore in terza persona, ma si basa fortemente sul punto di vista di un personaggio. Non ha commenti extradiegetici, i commenti emotivi che vengono fatti invece potrebbero essere quelli del personaggio. Questo narratore coinvolge il lettore in maniera indiretta, senza avere lo svantaggio del “distacco” creato spesso dalla prima persona
  4. Punto di vista a rotazione: elimina i difetti del punto di vista singolo (che è limitato a ciò che conosce) mantenendo i pregi (coinvolgimento del lettore). Ciò si ottiene spostando il narratore interno singolo a personaggi diversi. Lo svantaggio è il rischio di frammentare troppo la storia, e i rimedi che si possono attuare sono:
    • Non esagerare col numero di personaggi punto di vista. Di solito se ne sceglie un numero ristretto, ad esempio i protagonisti
    • Delimita il passaggio di un punto di vista in modo chiaro. Ad esempio la fine di un capitolo è un punto naturale per cambiare il punto di vista, mentre se si ha bisogno di cambiare punto di vista all’interno dello stesso capitolo meglio utilizzare uno spazio tipografico bianco
  5. Voci narranti meno usate: seconda persona (“Apri la finestra ed esci in strada”), narrativa epistolare (fingere che dei personaggi si stiano scrivendo lettere). “Requiem per un sogno”, di Selby, le usa tutte e bene.

Si veda ad esempio Huckleberry Finn di Mark Twain, la “versione per adulti” di Tom Sawyer che dà ottimi esempi di stile e coinvolgimento. Qualche esempio dall’inizio del libro:

  • “Voi non sapete niente di me a meno di aver letto Tom Sawyer, scritto da Mark Twain che per lo più ha detto la verità”: il personaggio finge di esistere
  • Essendo un ragazzo, usa frasi brevi, ripetizioni, locuzioni prese in prestito dal linguaggio parlato (“Bene.”), gergo (“me la svignai”), metodi di scongiuro, e farcisce la narrazione di suoi pareri (“nessuno dice sempre la verità, a meno di…”)
  • Questo non vuol dire che non ci siano artifici narrativi. Si veda la frase “discretamente magra”. Fermandosi a pensarci, non è il linguaggio di un ragazzino, eppure non stona perché l’autore riesce a mantenere l’armonia e creare un effetto umoristico
  • “Non ci vidi vantaggi, quindi decisi di non farlo, ma mi guardai dal dirlo”: attraverso la narrazione si capisce che il personaggio ha un’intelligenza “di strada”, il modo in cui racconta svela la sua psicologia, in questo caso il personaggio è stato picchiato dal padre quindi sta attento a ciò che dice
  • La narrazione non è didascalica e dice solo l’essenziale. Inoltre conferisce a ciò che succede le sfumature dell’umore del personaggio
  • “Sentii miao miao – Bene, feci miao miao anch’io”: nella narrazione non vengono spiegate le cose che il personaggio dà per scontate, qui il personaggio sa già perché sente un miagolio e cosa ci si aspetta che faccia, ma non lo spiega/svela al lettore: “scesi dove naturalmente ad aspettarmi c’era Tom Sawyer”
  • Poi riassume ciò che gli è successo poco, visto che raccontarlo sarebbe poco interessante. Oggi i romanzi spesso perdono la funzione di commento e riassunto in modo da essere buoni per il cinema o perché influenzati dal cinema che non li usa, ma si perde uno strumento che in letteratura può tornare comodo
  • “Mi iniziò a prudere la schiena. Mi sembrò che se non mi fossi grattato sarei morto. Da allora, lo notai parecchie volte”: da un racconto diretto di ciò che sta succedendo si passa a una riflessione che allunga la suspense, ben impostata se so di aver già agganciato il lettore
  • Si pensa che la naturale evoluzione degli avvenimenti sia o che Huck si gratti o che Jim se ne vada – e invece Jim si addormenta, e questo porta avanti la storia
  • Nota: che non salti in mente al lettore di interrompere la lettura tra un capitolo e l’altro!

Stile

L’originalità si ottiene con l’individualità, non con la diversità a tutti i costi (sono originale perché nessuno ha mai fatto prima questa cosa).

  • Il nostro stile non deve essere costruito artificiosamente/autoreferenziale, ma è già influenzato dalle letture che abbiamo fatto e da come abbiamo imparato a scrivere
  • Rispetto a come ci hanno insegnato a scrivere: viene insegnato un metodo standard senza spiegare come si decide cosa scrivere, sperando nella “scrittura che sgorga”. Senza contare che sarebbe bene ignorare alcune regole scolastiche, ad esempio quella di evitare le ripetizioni. Se quella è la parola più precisa per descrivere qualcosa, meglio usarla anche se ripetuta piuttosto che cercarne una diversa solo per evitare una ripetizione e produrre così uno scritto ingessato. I sinonimi non sono quasi mai sinonimi esatti, senza tener conto poi del suono della parola che può non armonizzarsi col resto
  • Ama la lingua, cura il percorso delle parole e quindi non infrangere il registro linguistico (“gatto” o “micio” sono diversi – la differenza qui è eclatante, ma attenzione a quelle più sottili). Il lettore si accorge, quantomeno con una sensazione negativa, se il registro linguistico viene infranto
  • Guarda pure lo stile di altri autori per ispirarti – quando si è alle prime armi è il modo migliore. Ad esempio, se non si sa come portare avanti una descrizione si può guardare come l’ha fatta un autore che ci piace. Chi si ispira a un solo autore copia, chi si ispira a più autori sviluppa uno stile suo. Cerca cosa esattamente ti piace negli autori che stimi, e fallo tuo. Prendi solo le cose che ti piacciono di ogni autore, e il resto da altri autori. L’autoconsapevolezza verrà man mano
  • Apprezza l’importanza della parola: per renderti conto di quanta forza porti con sé una parola, pensa a un suo sinonimo e sviscerala poi nelle sfumature proprie di quell’esatto termine per cogliere le differenze col sinonimo. Oppure leggi il lemma su un dizionario etimologico per cogliere la storia della parola (o vedi ad esempio “Manuale di retorica” di Bice Mortara Garavelli). E non applicare queste regole nella scrittura, ma scoprile negli altri autori e al massimo nella riscrittura del proprio romanzo. Lo stile non deve danneggiare la propria spontaneità
  • Sii “elegante”, in senso matematico: essenziale nel raggiungere un obiettivo complesso, ogni parola deve essere indispensabile. La prolissità è un difetto che può dipendere dalla paura di non essere capiti, insicurezza che porta ad aggiungere parole e dettagli inutili (difetto comune degli esordienti)
  • Leggete ad alta voce i vostri scritti per sentire suono e ritmo e capire se le frasi sono troppo lunghe/corte